A chi sta a cuore il futuro del nostro paese e dell’Europa non saranno passate inosservate le proposte del nostro ex Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ora Segretario di uno dei principali partiti politici italiani che si candidano a guidare il paese.
Preso atto della difficoltà dell’Italia ad uscire da molti anni di recessione, prima, e crescita anemica, dopo, la proposta, in sintesi, è quella di abbandonare il Fiscal Compact e prevedere per cinque anni un rapporto deficit/PIL attorno al 2,9%. Questo garantirebbe risorse addizionali di circa 30 MLD di Euro all’anno da dedicare alla riduzione delle tasse ed a investimenti pro-crescita.
A mio avviso la proposta è del tutto inadeguata a rispondere ai problemi del paese e rischia di compromettere il nuovo corso che sembra aver imboccato l’Europa con la frenata delle forze nazionaliste in Austria e Olanda, l’elezione di Macron in Francia e la probabile riconferma della Cancelliera Merkel in Germania.
Cerchiamo di entrare nel merito della proposta e di analizzarla nei suoi aspetti principali.
1. La sostenibilità del bilancio pubblico. Tenere in ordine i conti del paese è innanzitutto interesse dei cittadini Italiani. Negli ultimi anni grazie alle misure della BCE l’Italia ha usufruito di uno sconto molto forte sugli interessi del debito che gravano ogni anno sul bilancio pubblico. Basti pensare che nel 2016 la spesa per interessi è stata di 66,5 MLD di Euro, 17 MLD di Euro in meno rispetto al 2012 con un risparmio cumulato di circa 50 MLD nel quadriennio 2012-2016. Un’uscita unilaterale dell’Italia dal Fiscal Compact ed una crescita del deficit annuo senza un adeguato scudo della BCE potrebbe vanificare in pochi mesi lo spazio di bilancio così conquistato.
2. Rimettere in moto la crescita ed invertire il trend degli investimenti pubblici è senza dubbio necessario. Lo è per l’Italia ma non è meno importante per Francia, Germania e Spagna, per nominare soltanto le quattro maggiori economie dell’area Euro. Se la proposta di Renzi ha, da un lato, il pregio di riportare l’attenzione sul fatto che solo agendo anche sul versante della crescita sarà possibile consolidare la discesa del rapporto deficit/PIL, dall’altro, non tiene conto che portando il rapporto deficit PIL a sfiorare il 3%, per poter ridurre l’indebitamento pubblico, sarebbe necessaria una crescita nominale del 4%. Il tema è ben analizzato ieri su Il Sole 24 Ore da Pierluigi Ciocca e Vincenzo Visco. Tale ritmo di crescita appare poco realizzabile in un contesto a inflazione inferiore al 2%. La via da seguire è quella indicata da Macron, e già diverse volte avanzata da diverse personalità italiane, di potenziare gli investimenti europei e quindi l’istituzione di un ministro delle finanze europeo e di un bilancio dell’Eurozona. Il momento storico è opportuno ed è proprio l’Italia che può giocare da acceleratore o da freno. Sarà un acceleratore se saprà mantenere fede ai propri impegni e si dichiarerà disponibile a cedere quote di sovranità fiscale all’Europa a patto di maggiori investimenti e di maggior solidarietà (dal completamento dell’Unione Bancaria al Fondo Europeo per la Disoccupazione, alla gestione dei confini esterni dell’Europa). Sarà un freno se si avvierà verso politiche di spesa unilaterali, che la marginalizzeranno sul piano economico e politico.
3. Il ritorno a Lisbona. Fa bene Renzi in questo caso a richiamare le responsabilità di un’Europa che si è data obiettivi ambiziosi ma non si è mai dotata degli strumenti politico istituzionali per realizzarli. Il momento storico è complesso: una globalizzazione che ha portato fuori dalla miseria miliardi di persone ma che ha lasciato indietro fasce intere di popolazione nei paesi sviluppati e non, cambiamenti economici e climatici che spingono milioni di persone a spostarsi dalla loro terra in cerca di una vita migliore, una rivoluzione tecnologica e digitale che sta cambiando il modo di lavorare, le competenze per rimanere nel mondo del lavoro e che sta rimodellando le catene di produzione delle ricchezza a livello mondiale. Un Occidente che si trova sempre più diviso sulle sponde dell’Atlantico e che fatica a pensare un nuovo ordine mondiale collaborativo che coinvolga sempre più le nuove potenze che si sono affermate sullo scenario politico ed economico. In questo contesto la costruzione europea, a ritmi più veloci di quelli a cui ci siamo abituati, diventa una scelta obbligata per sopravvivere, prosperando, nell’era globale. Sembra che diverse capitali europee si siano finalmente svegliate. Credo che questa dovrebbe essere la stella polare e la priorità assoluta di chi si candida a guidare il paese alle prossime elezioni. Un’involuzione italiana può travolgere l’intera Europa e allontanare per sempre l’orizzonte di crescita e prosperità stabilito a Lisbona.
4. Il richiamo agli ideali di Ventotene. A Ventotene nasce il sogno degli Stati Uniti d’Europa, un sogno che non è un’utopia, come definito da Matteo Renzi, ma un progetto concreto di lotta politica. La battaglia per gli Stati Uniti d’Europa in sessant’anni d’Europa non ha mai perso la sua energia e rimane l’unico riferimento ideale ogni qual volta si cercano soluzioni a vecchi e nuovi problemi che la storia pone ai cittadini Europei e che gli stati nazionali non riescono a risolvere. Ventotene da più di trent’anni, grazie alle attività dell’Istituto di Studi Federalisti Altiero Spinelli, è il centro della riflessione ideale sul futuro dell’Europa. Da Ventotene sono già passati più di cinquemila giovani, studenti, ricercatori, professori e uomini delle Istituzioni europee per analizzare i problemi dell’Europa dall’unica prospettiva che può realmente affrontarli: quella del federalismo europeo e degli Stati Uniti d’Europa.
Non possiamo dimenticare il “sentiero stretto”, e a volte intricato, imboccato prima da Renzi-Padoan, e seguito poi da Gentiloni-Padoan, nel perseguire insieme rigore e crescita. Una strategia che ha iniziato a dare qualche timido risultato. Per allargare il sentiero e renderlo più sicuro non possiamo però pensare di aumentare la spesa pubblica italiana, dobbiamo mettere tutte le energie per aumentare gli strumenti di solidarietà europei e per in moto gli investimenti europei. Il momento è opportuno e non può essere sprecato Questo ci darebbe la spinta per accelerare la crescita senza mettere a repentaglio i conti pubblici. Questo è il vero piano per dare fiducia agli investitori privati in Italia ed in Europa. Questa infine è l’unica via per uscire da una fase difficile sotto il profilo politico ed economico con istituzioni europee più forti in grado di reggere le sfide del mondo globale.
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