La lezione di Srebrenica al Consiglio Europeo

, di Marco Zecchinelli

La lezione di Srebrenica al Consiglio Europeo

Se i simboli in politica avessero ancora una qualche utilità, il Consiglio Europeo che si apre oggi avrebbe dovuto svolgersi a Srebrenica, in Bosnia Erzegovina. Fu lì, nel luglio di 25 anni fa, che la neonata Unione Europea dimostrò la propria inconsistenza militare, politica e strategica davanti alla più grave strage di civili dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Tra le tombe dei bosgnacchi trucidati dai soldati di Ratko Mladic, ma anche di fronte agli sguardi di chi è sopravvissuto a quei giorni di orrore, sarebbe forse più difficile per i capi di Stato e di governo dei Paesi membri fare finta che si stia discutendo solo di soldi: di quanto, quando, come e a chi versarli, e per farne cosa. Magari sarebbe una lezione storica interessante per politici che all’epoca dei fatti erano spesso dei giovani o giovanissimi adulti (solo 13 su 27 avevano più di 30 anni, e di quei 13 solo 3 ne avevano più di 40) e che sembrano dare l’Europa per scontata.

Perché nonostante al centro delle discussioni ci siano i piani economici per la ripresa, e nonostante lo sguardo di gran parte delle opinioni pubbliche sia concentrato su quelli e su quelli giudicherà i propri rappresentanti (sia per aver ottenuto sussidi, sia per non averne concessi, sia per averli legati a precise condizioni) il cuore della faccenda che si discuterà a Bruxelles – e non a Srebrenica, purtroppo – è un altro, e ci dovrebbe importare persino di più. Il punto è che da Bruxelles dovrebbe uscire anche un’idea o due su cosa dovrà essere l’Europa nei suoi secondi 70 anni: possibilmente tenendo conto e facendo tesoro degli errori e dei passi falsi compiuti nei primi 70. Il fatto che della costruzione europea ci sia bisogno, la capacità di resilienza dimostrata dall’UE negli ultimi 15 anni, la sua espansione programmata nei Balcani non sono risposte alla domanda che i partecipanti al Consiglio Europeo continuano a eludere anche davanti alle sollecitazioni del Parlamento e della Commissione, sequestrando di fatto qualsiasi possibilità di avanzare nell’integrazione se essi non sono unanimemente d’accordo.

Per evitare una nuova Srebrenica, dopo che si era detto “mai più!” anche 50 anni prima, non bastano gli acquisti della BCE, non basta il Next Generation EU, non basterebbero nemmeno eurobond i cui interessi venissero pagati da risorse proprie dell’Unione: per assurdo, a evitarla non basterebbe nemmeno un vero esercito europeo. Sono strumenti utili e necessari, ma di indispensabile c’è solo la volontà politica di crearli e usarli, rendendoli poi impermeabili al clima politico che si respira nelle diverse capitali. Perché Srebrenica, giova ricordarlo, non venne fuori dallo scontro inevitabile tra Stati nazionali plurisecolari: fu il frutto più aspro del fallimento della Federazione jugoslava, incapace dopo Tito di tenere insieme le sue anime e i suoi membri, all’inizio caduti preda dello slogan nazionalista “Prima i nostri!”, poi delle fantasie di indipendenza, infine della volontà di sterminare quelli che pochi anni prima erano fratelli. Nei Balcani degli anni ’90 ci sono state le ultime guerre civili d’Europa: sta ora al Consiglio Europeo fare in modo che restino le ultime per sempre. Non ci attendiamo miracolose conversioni federaliste: ma un po’ di rispetto verso la vicenda di Srebrenica, e verso le lezioni che dovrebbe aver insegnato, quello è il minimo che possiamo pretendere.

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