La politica commerciale dell’UE: il punto della situazione

, di Jacopo Barbati

La politica commerciale dell'UE: il punto della situazione
Wojciech Gerson, Gdańsk w XVII wieku, pubblico dominio, via Wikimedia Commons

Nella settimana dedicata dalla JEF Europe alla storia e alla politica europea, in vista della Conferenza sul Futuro dell’Europa, continuiamo con un articolo dedicato alla politica commerciale dell’Unione europea.

Il commercio è da sempre al centro delle attività umane rivestendo un’importanza cruciale, non solo per la prosperità economica ma anche per la conoscenza reciproca. Le prime notizie strutturate sull’estremo oriente che si ebbero in Europa sono attribuibili alla celeberrima opera di Rustichello da Pisa, Il Milione, basato sui racconti di un mercante, Marco Polo.

Non stupisce quindi che sin dalla prima Commissione Europea, quella del 1958 presieduta da Walter Hallstein, fosse presente un Commissario per il Commercio (Jean Rey, che fu poi il Presidente della Commissione successiva).

L’attuale Commissario per il Commercio è uno dei Vicepresidenti della Commissione Europea, Valdis Dombrovskis, che ha assunto l’incarico sul commercio dopo le dimissioni di Phil Hogan nel 2020.

Per l’attuale Commissione, il commercio viene reputato uno degli strumenti chiave per la prosperità e la competitività dell’economia europea, considerando sia il mercato interno sia quello esterno. Un tema cruciale in epoca di pandemia.

Dal programma ufficiale dello EU Trade Policy Day promosso dalla Commissione molto di recente, il 26 aprile, emerge chiaramente come la priorità sia continuare a connettere il mercato europeo con quello esterno.

Uno dei punti chiave della Commissione è la riforma dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (OMC, anche nota come World Trade Organization - WTO), considerata inadatta ad affrontare le questioni odierne e inefficace nella risoluzione di eventuali contenziosi tra le parti; [1] e più in generale, il discorso della multilateralità e della cooperazione internazionale è centrale nei piani della Commissione: l’obiettivo è quello di promuovere un commercio globale basato su criteri di sostenibilità sociale, ecologica e ambientale, nel rispetto degli accordi sul clima di Parigi.

L’obiettivo di portare gli standard commerciali europei a livello globale non si limita ai criteri di sostenibilità ambientale ma si estende anche all’evoluzione delle tecnologie digitali e del trattamento dei dati, dove l’UE può legittimamente vantare una legislazione avanzata a difesa dei diritti dei consumatori.

Ciò non può ovviamente essere slegato da un rilancio degli accordi commerciali transatlantici, naufragati nel 2019 insieme al Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (in inglese Transatlantic Trade and Investment Partnership, TTIP), e con altre regioni-chiave per il commercio europeo: Nord Africa, Sud America, Asia orientale, Balcani occidentali. [2]

Alla luce di queste lodevoli intenzioni, vanno però sottolineate alcune criticità.

La richiesta di poter agire in uno scenario commerciale globale equo, inteso come il rispetto di regole comune da parte di tutti gli attori in gioco al fine di evitare disparità e condizioni di svantaggio competitivo per alcuni, e che queste regole siano viste al rialzo (con l’implementazione di alti standard per il rispetto di lavoratori, ambiente, consumatori) è legittima ma purtroppo difficile da ottenere senza uno straccio di governance globale (a livello di ONU od OMC) e senza una politica estera unica per l’UE.

Sebbene le politiche commerciali siano di esclusiva pertinenza dell’Unione Europea (seppur in alcuni casi si devono coinvolgere gli stati membri, ma ci torneremo tra poco), non si può negare che molte delle richieste in questo ambito fatte ai partner internazionali siano soggetti a dinamiche che interessano più la politica estera che quella commerciale. In poche parole, senza una politica estera unica, e quindi senza una UE federale, le giuste ambizioni commerciali europee rischiano di rimanere monche.

Infine, l’atavica questione dell’unanimità: se un accordo commerciale negoziato dall’UE con un partner dovesse coprire questioni di competenza degli stati membri (e questo è molto frequente per gli accordi più complessi), la ratifica è a essi demandata con regime di unanimità. [3]. A titolo d’esempio, l’accordo commerciale tra UE e Colombia e Perù, siglato nel 2013, non è ancora entrato in vigore a causa dell’assenza di ratifica da parte del solo Belgio [4].

Per concludere: l’Unione Europea nutre delle legittime aspirazioni per un commercio globale equo per i produttori e che tenga in alta considerazione i diritti dei lavoratori, dei produttori e dei consumatori; ciò però rischia di essere inficiato dai suoi limiti strutturali di federazione incompleta.

Parole chiave
Note

[2Queste e altre considerazioni possono essere approfondite nel documento dedicato della Commissione Europea.

[4Ibidem

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