Torniamo a parlare della politica interna e del caso Polonia

La Polonia e la costituzione europea

, di Guido Montani

La Polonia e la costituzione europea
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La crisi europea innescata dalla sentenza (K 3/21) del Tribunale Costituzionale polacco, che accusa l’Unione europea e la Corte di Giustizia dell’UE di “oltrepassare lo scopo e le competenze a loro affidate dalla Repubblica di Polonia nei Trattati” è destinata a non risolversi facilmente e in breve tempo. Anzi, può innescare una crisi del processo di integrazione europea più grave della Brexit, perché potrebbe invertire il processo di integrazione dell’Unione, trasformandola in una semplice organizzazione intergovernativa.

Le competenze “sovranazionali” dell’Unione sono l’obiettivo centrale dell’iniziativa polacca, come dimostra il pronto sostegno di tutte le forze sovraniste nel Parlamento europeo e al di fuori, in Francia (con Zemmour e Le Pen), in Italia, in Germania e in Ungheria.

Per comprendere la gravità della crisi costituzionale europea è utile un confronto tra la Brexit e la Polexit. L’insofferenza del governo inglese verso le decisioni riguardanti l’integrazione europea è nota: a ogni passo in avanti dell’Unione, come quello riguardante la creazione dell’Unione economica e monetaria, il governo inglese invocava e otteneva delle esenzioni, qualche “opt out”. La Gran Bretagna ha sempre cercato di ottenere i vantaggi dell’integrazione senza cedere poteri sostanziali all’Unione, sino a quando ha deciso che le conveniva uscire del tutto, invocando l’art. 50 del Trattato di Lisbona (TL). È stata una “clean exit”, per usare un’espressione dell’Economist (16 ottobre), perché ha consentito ai restanti membri dell’Unione di continuare il processo di integrazione, anzi di rafforzarlo, come dimostra il varo dello European Green Deal e di Next Generation EU.

Al Contrario, il governo polacco ha una strategia a lungo termine di logoramento dell’Unione, contando sul fatto che può godere del sostegno di alcuni governi amici e di partiti sovranisti in diversi paesi importanti. Il governo polacco non intende abbandonare l’Unione. La stragrande maggioranza dei suoi cittadini è favorevole al “remain”, e questo fatto rafforza la sua strategia di indebolimento dell’UE. Si tratta pertanto di un “dirty remain”, per usare di nuovo la terminologia dell’Economist. La sentenza del Tribunale costituzionale polacco del 7 ottobre è solo l’inizio di un lungo processo di logoramento.

È facile comprendere che il mercato interno europeo e i diritti dei cittadini europei, sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali, sono in pericolo. Se la Polonia, ad esempio, dichiara che una certa norma europea della concorrenza non è valida in Polonia, altri paesi europei potrebbero trovare conveniente seguire il suo esempio e così via di seguito per i diritti dei cittadini, come la libera circolazione, ecc., sino a che l’intera struttura sovranazionale dell’Unione sia demolita. È il sogno dei sovranisti che sostengono da tempo che una confederazione europea, una snella organizzazione intergovernativa, sarebbe molto più accettabile di una struttura che impone la “supremazia” delle leggi europee su quelle nazionali.

Il Parlamento europeo ha adottato una Risoluzione (19/10/21) molto severa nei confronti della Polonia, dove si sostiene, con ragione, che “Il Tribunale Costituzionale è illegittimo”, poiché è composto da una maggioranza di giudici di nomina governativa, in dispregio dei principi della rule of law. Tuttavia, gli strumenti a disposizione dell’Unione per riportare la Polonia al rispetto del Trattato di Lisbona sono difettosi. Il ricorso all’art. 7, che prevede la sospensione del diritto di voto dello stato colpevole, per essere efficace richiede l’approvazione del Consiglio con un voto all’unanimità, impossibile sino a che altri stati membri sostengono la Polonia. La proposta del Parlamento europeo di sospendere gli aiuti finanziari del Piano di ripresa e resilienza rischia di colpire la parte più povera della popolazione polacca e di suscitare proteste antieuropee.

In definitiva, occorre prendere atto che una disputa giuridica si è ormai trasformata in una disputa politica sul futuro dell’Unione. Ciò è dimostrato anche dal fatto che i medesimi articoli del TL (art. 2, 4, 8) sono invocati dalle due parti in causa, con interpretazioni opposte. La contrapposizione tra “europeisti” e “sovranisti” non può più essere decisa da una interpretazione giuridica del Trattato di Lisbona. L’ambiguità del TL è il vantaggio di cui gode il governo polacco e lo sfrutta con abilità.

In proposito, è utile ricordare l’origine di questa pericolosa ambiguità. Occorre risalire alla Convenzione europea che si è conclusa nel 2003 con l’approvazione di un Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. I federalisti hanno subito denunciato l’ambiguità della proposta della Convenzione, perché una Costituzione, se intesa come primo passo verso una democrazia europea, avrebbe dovuto essere sottoposta al voto di una maggioranza di cittadini e di stati dell’Unione, mentre la ratifica voluta dai Capi di stato e di governo richiedeva l’unanimità degli stati membri. Il resto della vicenda è noto: Francia e Paesi Bassi hanno deciso di procedere alla ratifica mediante un referendum popolare che si è tradotto in una facile occasione, da parte delle forze politiche nazionali di opposizione, per battere il governo nazionale. Questa dinamica è stata molto evidente in Francia. Il referendum europeo si è trasformato in un referendum nazionale.

Della sfortunata vicenda del Trattato costituzionale merita di essere ricordato l’art. I-6 sul “Diritto dell’Unione” dove si afferma: “La Costituzione e il diritto adottato dalle istituzioni dell’Unione nell’esercizio delle competenze a questa attribuite prevalgono sul diritto degli stati membri”. La “supremazia” del diritto europeo su quello nazionale era espressa con chiarezza e non vi sarebbero stati appigli per chiunque, compreso il Tribunale costituzionale polacco, per sollevare un polverone. Tuttavia, questo articolo è stato omesso nel Trattato di Lisbona dove si è invece adottata la formula generica dell’art. 1. 2: “Il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini”.

Quale linea politica dovrebbero ora adottare gli “europeisti” per salvare l’Unione dall’assalto dei sovranisti? La via maestra è quella che i federalisti propongono sin dagli anni Cinquanta: una Costituzione europea che istituisca un governo democratico europeo. È necessario abbandonare la fumosa prospettiva di “una unione sempre più stretta” e decidere con chiarezza quali competenze affidare all’Unione e quali agli stati membri. Kenneth Wheare indica con precisione la distinzione tra confederazione e federazione: “La differenza fra l’attuale costituzione degli Stati Uniti e gli Articoli confederativi risiede nel fatto che l’attuale costituzione sostituisce il principio della subordinazione e della dipendenza del governo centrale dai governi regionali con il principio della coordinazione e della indipendenza, nelle rispettive sfere, dei governi centrali e regionali” (Wheare, Il Mulino, 1997; p.43).

L’Unione europea ha ormai avviato una Conferenza sul futuro dell’Europa. Sino ad ora si è fatta molta retorica sulla partecipazione dei cittadini europei senza offrire loro una chiara prospettiva politica sulle finalità della Conferenza e le riforme necessarie per realizzarle. Si discute di risorse proprie, necessarie per consolidare NGEU e il Green Deal, e di difesa europea, necessaria per affrontare le sfide della crisi dell’ordine internazionale. Tuttavia, i governi europei non sono per nulla espliciti su ciò che deve essere fatto per consentire all’Unione di dotarsi di un efficace governo democratico. Rifiutano con ostinazione di riconoscere una chiara linea di divisione tra democrazia europea e democrazia nazionale, tra competenze europee e competenze nazionali, tra diritto europeo e diritto nazionale. Queste distinzioni sono necessarie per evitare dispute continue e pericolose tra autorità europee e nazionali.

In definitiva, si rifiuta di accettare la prospettiva di fare dell’Unione uno stato federale. Senza il coraggio della verità, la fumosa politica “europeista” aprirà la strada alla disintegrazione dell’Unione auspicata dalle forze sovraniste. Responsabili del futuro dell’Unione saranno solo quei politici, uomini e donne, che avranno il coraggio di dire la verità ai cittadini europei.

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