In Italia, la discussione di questi giorni sul Meccanismo Europeo di Stabilità e la sua eventuale riforma è diventata l’ennesima occasione di scontro strumentale che dimostra le ambiguità che serpeggiano nella politica nazionale in merito alla posizione e al ruolo europei dell’Italia. Le polemiche su presunti retroscena del negoziato e le accuse di tradimento della patria non aiutano certo ad affrontare nel merito e con la necessaria responsabilità un tema cruciale per un Paese della zona Euro. Il dibattito sulla riforma del MES, che pure in sé rappresenterebbe un passaggio democratico importante, è del tutto fuorviante se non viene inserito in una seria riflessione sul completamento dell’Unione Economica e Monetaria e il futuro dell’Eurozona.
La classe dirigente italiana deve essere innanzitutto consapevole di rappresentare un Paese che ha non solo il terzo contributo più alto al capitale del MES, ma anche al contempo il più alto debito pubblico europeo dopo la Grecia in proporzione al PIL e che è dovrebbe essere dunque tra i più interessati alla costruzione di un’area monetaria stabile e resiliente.
Il MES è innanzitutto uno strumento per rendere possibile la solidarietà tra i Paesi dell’Eurozona. Insieme alle politiche della Banca Centrale Europea, ha consentito di superare la crisi del debito assicurando la tenuta della moneta unica. Il progetto di riforma discusso questa estate, tra i piccoli ma significativi passi avanti, ne amplia i compiti trasformandolo nel backstop del fondo unico di risoluzione bancaria, completando il secondo pilastro dell’Unione Bancaria, in grado quindi di intervenire in caso di crisi bancarie, come anche l’Italia chiede da anni. Rappresenta quindi un caso di mutualizzazione dei rischi, ovvero di maggiore solidarietà europea, che è però ancora imbrigliato in una logica intergovernativa in cui ogni decisione rappresenta un compromesso al ribasso per l’insieme dei cittadini europei.
Come ben ricordato ieri dal Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco il vero punto è che i sensibili miglioramenti proposti per il MES non sono sufficienti nell’ottica del completamento dell’UEM. Mancano ancora all’appello una garanzia europea sui depositi e soprattutto l’affiancamento, sul lato fiscale, di un bilancio federale adeguato che possa garantire la stabilità, la resilienza agli shock, e la crescita dell’Eurozona.
Queste devono essere le priorità da mettere sul tavolo, per non rendere il dibattito sul MES uno strumento di mera propaganda sulla pelle dei cittadini italiani ed europei. Questo è quello che un Paese fondatore come l’Italia dovrebbe fare.
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