Bezos, Musk, Cook, Zuckerberg, Altman, Andelson. Questi sono solo alcuni dei nomi dei miliardari che erano presenti nella mattinata del 20 gennaio all’inaugurazione della presidenza americana di Donald Trump. Rappresentavano un totale di 1.200 miliardi di dollari, quasi il doppio della più importante e costosa manovra economica dell’amministrazione Biden, ovvero l’Inflation Reduction Act del 2022.
Da questo scenario sorge alla mente la frase utilizzata dal personaggio di Frank Underwood in “The House of Cards”, con la manina che saluta al bordo dell’inquadratura: “Il potere è come il mercato immobiliare, quello che conta davvero è la posizione. Più sei vicino al centro (del potere) più alto sarà il valore della proprietà”.
Questa è l’immagine che più di tutte emerge sull’attuale panorama globale, ossia quella di un’alleanza tra una destra reazionaria ed ultraconservatrice, che ha costruito il proprio consenso sfruttando le paure e le frustrazioni degli esclusi della società, e un’oligarchia tecnologica ed economica che agisce per preservare i propri interessi a discapito di tutto e di tutti. Questo scenario, visibilmente incarnato negli Stati Uniti con la vittoria di Donald Trump, non è solo un evento locale: si configura come il modello di un fenomeno globale che, inevitabilmente, si prepara a espandersi anche nella vecchia Europa.
La democrazia non è una macchina nuova o un giocattolo che dopo averci giocato, una volta stufo, puoi buttare. L’impatto delle scelte prese, soprattutto dell’ancora potenza più importante del globo, hanno ricadute globali e alle volte irreversibili. La democrazia non può essere comprata per sfizio o per tutelare i propri interessi.
La recente cerimonia presidenziale americana ha messo in scena una nuova realtà politica: una «tecnodestra», che mescola ideologia reazionaria e un controllo economico-tecnologico.
Rispetto la curiosa trasformazione di Elon Musk, il principale sostenitore e finanziatore di Trump e del suo progetto politico, Giulio Silvano ha commentato così: “Se il mondo per Musk è Age of Empires [un videogioco, ndr], allora lui è vicinissimo alla total domination. Un mondo dove convivono un liberalismo vecchiotto a la Ayn Rand e un natalismo quasi eugenetico, i pannelli solari come unica fonte di energia e il taglio dell’organico federale dell’80%, accelerazionismo e teorie complottiste, nativismo e spocchia da Iron Man”.
Alla domanda “Com’è possibile secondo te che un progressista CEO della Silicon Valley possa sostenere uno come Trump?”, Pete Buttigieg, Segretario ai trasporti di Biden, risponde: “Sembra esserci una contraddizione ma in realtà è molto semplice! Uomini ricchissimi che hanno deciso di sostenere un candidato e una politica che tende a fare del bene per uomini molto ricchi".
Alle volte il dramma è sotto gli occhi di tutti. Però il punto di svolta è se noi, europei principalmente, staremo a guardare. Se i sinceri democratici vogliono preservare i valori di democrazia e giustizia sociale, devono rispondere con un progetto ambizioso e di respiro globale.
L’anarchia internazionale come contesto attuale
A questa sfida già complessa si aggiunge un elemento cruciale: l’anarchia internazionale in cui viviamo. Il contesto globale è sempre più segnato dall’assenza di regole condivise e rispettate, o dalla loro violazione sistematica e impunita. Gli accordi multilaterali, che dovrebbero regolare le relazioni internazionali, vengono costantemente ignorati o ridotti a mere dichiarazioni di intenti. Il diritto internazionale, che dovrebbe rappresentare un fondamento della cooperazione tra stati, è spesso subordinato agli interessi delle grandi potenze o semplicemente disconosciuto. Le istituzioni internazionali o gli organi multilaterali vengono attaccati o sviliti.
Questa anarchia internazionale crea un terreno fertile per le forze reazionarie e oligarchiche, che prosperano in un sistema senza regole. Le sfide globali – dal cambiamento climatico alla gestione delle migrazioni, dalla giustizia economica alla sicurezza – vengono così affrontate con logiche di potere e competizione, invece che con visioni di solidarietà e collaborazione.
L’Europa come unica risposta
In tutta la cerimonia, il giuramento e il discorso inaugurale della presidenza Trump una parola mancava più di tutte: Europa. Un silenzio assordante per noi europei.
La sola risposta adeguata, di fronte alla crescente anarchia internazionale e alla saldatura tra una destra aggressiva e rapace e la nuova oligarchia tecnologica, è l’Europa. Un’Europa forte, federale e unita. Troppo a lungo, come europei, abbiamo delegato ad altri il compito di gestire problemi che invece spettano a noi. È giunto il momento di assumere piena responsabilità del nostro futuro e agire con determinazione. Un’Europa che sappia prendere in mano il proprio destino e rispondere con coraggio alle sfide globali.
Sfide che vanno dal conflitto nato dall’invasione della Russia dell’Ucraina al conflitto medorientale più vasto, dall’imperialismo cinese in Africa e le sfide commerciali della Cina all’Occidente fino alla situazione di Taiwan, dal ruolo della NATO alla riforma delle Nazioni Unite. Per non parlare del grande contesto mediterraneo, che determina inevitabilmente le nostre scelte europee. Il rapporto che l’Occidente dovrebbe avere con l’India, una potenza in ascesa, ma allo stesso tempo una democrazia, con tante complessità, ma comunque una democrazia. Infine la crisi globale della democrazia e la torsione autoritaria ormai dilagante, anche in democrazie di lunga data.
Una risposta europea è l’unica che possa gestire un mondo dove coesiste una crisi della democrazia liberale nel vecchio Occidente e una torsione sempre più aggressiva e imperialista che soffia da oriente. L’Unica risposta che possa mettere al riparo noi europei e farci realmente attori politici sullo scacchiere internazionale.
Tutto questo non può che passare da un’Europa federale, che superi gli egoismi nazionali per gestire in modo efficace le sfide attuali:
- Una politica estera e di difesa unica, che dia all’Europa il peso necessario nel panorama globale.
- Una politica industriale europea, che possa competere con le potenze economiche mondiali.
- Un welfare comune e una gestione unitaria delle migrazioni, affrontando queste sfide con umanità ed efficacia.
- Un forte impegno per l’innovazione e lo sviluppo economico e sostenibile, per costruire un futuro equo e rispettoso dell’ambiente.
Un’Europa federale non solo potrebbe rappresentare una risposta alla sfida posta dalla tecnodestra e dall’oligarchia economica, ma anche un modello di ordine internazionale alternativo all’anarchia attualmente presente. Un’Europa forte potrebbe promuovere un sistema di regole globali basato su democrazia, giustizia e cooperazione.
A grandi problemi bisogna trovare grandi soluzioni. Tutto dipende da noi e da come rispondiamo a queste sfide. L’Europa purtroppo cambia e rinnova se stessa solo quando delle crisi la colpiscono, adesso ci troviamo di fronte a crisi di sistema: del sistema internazionale (ormai da diversi anni), del sistema liberal democratico, del sistema “nazional-statale” e del sistema politico in generale.
Il ruolo dei progressisti nel XXI secolo
Tuttavia, un progetto europeo di questa portata richiede anche una profonda riflessione sul ruolo dei progressisti contemporanei. I progressisti devono capire come stare al mondo, per evitare la peggiore fine politica, ossia l’irrilevanza. Capire le dinamiche del potere del XXI secolo e la spinta emotiva che porta le persone a fare una scelta politica. Devono riconoscere che le categorie del Novecento non sono più sufficienti: il voto di classe è scomparso, l’ideologia è diventata variabile, le identità sono diventate fluide e la globalizzazione ha trasformato le dinamiche sociali.
La politica non può ridursi a mera tecnica o razionalità. Serve una nuova narrativa, un sogno che ispiri le persone e che spieghi l’esistente, offrendo una visione di un futuro possibile e desiderabile. La paura non può essere contrastata solo con argomenti razionali; deve essere superata con una prospettiva di speranza e con la capacità di modulare le emozioni collettive, come ha dimostrato la destra moderna. Citando Slavoj Zizek: “La vera utopia è quando la situazione è così colma di problemi, senza un modo per risolvere entro le coordinate del possibile, che per pura urgenza di sopravvivenza devi inventare un nuovo spazio. L’utopia non è una specie di libera immaginazione. L’utopia è una questione di profonda urgenza. Siamo costretti a immaginare come l’unica via d’uscita, ed è ciò di cui abbiamo bisogno oggi”.
Perché come è stato detto da Jianwei Xun in “Ipnocrazia. Trump, Musk e la nuova architettura della realtà”: “Trump non è semplicemente tornato alla presidenza: ha inaugurato formalmente un nuovo regime di realtà”, dove “il potere non risiede più nel controllo dei corpi o delle menti, ma nella capacità di modulare gli stati di coscienza di intere popolazioni".
Conclusione
L’Europa federale è un’utopia reale: è una necessità per rispondere alle sfide del nostro tempo. In un contesto internazionale segnato dall’anarchia e dalla fragilità delle regole condivise, l’Europa ha l’opportunità – e il dovere – di diventare un pilastro di stabilità e progresso.
I progressisti, se vogliono essere rilevanti, devono tornare a immaginare e raccontare un mondo nuovo, in cui democrazia, giustizia sociale e sostenibilità siano al centro.
Sta a noi «ricollocare il fiore della speranza al centro del giardino europeo». Questo compito, ora più che mai, dipende dalla nostra capacità di agire con coraggio e visione. Se riusciremo, l’Europa potrà essere il faro di un nuovo ordine globale, in grado di contrastare le forze che minacciano la democrazia e il futuro delle generazioni a venire.
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