I protagonisti di questa storia hanno le proprie radici nelle Istituzioni e nei partiti della sinistra italiana, greca ed europea. In cima alla lista dei sospettati e arrestati vi è Eva Kaili, Vicepresidente del Parlamento europeo, una delle tre Istituzioni cardine e cardinali dell’Unione. Forse non la più potente, giuridicamente parlando, ma apparentemente una di quelle che i lobbisti e chi ha interessi nel manipolare la politica europea tiene sotto una lente, attento a capire come poterla influenzare, anche illegalmente.
Perché il Qatargate, al netto delle storie d’avventure e spionaggio che vedono coinvolte pentiti, ONG e pure casinò, è una storia dal sapore quasi “classico”, di quelle che Le Carré e Fleming avrebbero adorato scrivere mettendo insieme curiosi complotti con piani improbabili - il secondo - e più normali esseri umani alle prese con le proprie debolezze - il primo.
Il caso del Parlamento europeo risiede forse nel secondo caso, di persone che sotto la spinta dell’avidità sembrerebbero avere incassato cifre importanti per favorire Qatar e anche Marocco nelle decisioni dell’Istituzione. Kaili aveva parlato del Qatar come uno Stato simbolo dei diritti dei lavoratori, dopo che lo stesso aveva ricevuto indagini indipendenti e valanghe di critiche sul modo in cui aveva approcciato la costruzione delle infrastrutture necessarie ai Mondiali di calcio del 2022.
Non solo lei, perché all’interno del caso sono caduti sotto il mirino degli inquirenti belgi anche il compagno Francesco Giorgi, Luca Visentini, dichiaratosi innocente e nuovo Presidente dell’International Trade Union Association, e l’ex Europarlamentare Pier Antonio Panzeri. Essendo questi coinvolti in un giro di corruzione su cui si sta ancora indagando, non parleremo qui di colpevoli, di criminali o simili. L’innocenza fino all’ultimo grado di appello rimane un pilastro necessario del nostro sistema giuridico.
È chiara però la prima conseguenza, messa in luce dalla Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, che la democrazia europea sia ovvero sotto attacco, e che la sua credibilità è stata sicuramente, inevitabilmente, incrinata dalle azioni di alcuni suoi membri ed ex membri. Non solo, perché anche una ONG come Fight Impunity si è ritrovata al centro del mirino, puntata dagli inquirenti come una possibile cassa per il riciclaggio dei soldi incassati al Qatar e dal Marocco, i cui Governi si dichiarano - ovviamente - innocenti.
Nello spy-thriller del Parlamento europeo c’è da riflettere. Non solo per tutto il problema della corruzione all’interno delle strutture europee, problema intorno cui bisognerà costruire nuovi sistemi di protezione, prima di tutto proprio verso una delle poche Istituzioni davvero democratiche del sistema unitario. C’è da riflettere su come il Parlamento europeo, al netto dei suoi limiti istituzionali, sia visto dall’esterno come una prima porta tramite cui infilare i propri aculei nel corpo europeo. E c’è da riflettere su come la mancanza di una struttura unitaria politica sostanziale permetta ad attori interessati di leggere l’Unione come un corpo su cui lanciarsi come avvoltoi e offra loro spazio d’azione per attrarre e ottenere vantaggi e risorse, a scapito del benestare della stessa Unione e della solidità della democrazia europea.
La crisi che Eva Kaili avrebbe apparentemente aperto in seno all’Unione europea è una possibilità per pensare la trasformazione del Parlamento non in una cassa di risonanza di interessi a volte legittimi e a volte no, ma un organo capace di legiferare e al contempo fornito di quei sistemi di controllo e trasparenza che ogni Parlamento “nazionale” o federale possiede normalmente.
Perché al Parlamento credibilità e integrità sono date non solo dal suo predominante ruolo nel promuovere giuste cause come il rispetto dei diritti umani, ma anche dall’essere davvero l’eco dei cittadini europei. Certo, Commissione e Consiglio sono espressioni di Stati che, a loro volta, hanno Governi espressione della volontà dei cittadini. Ma è nel Parlamento che si consuma il rapporto diretto con l’Unione, con una scelta di rappresentanti non-mediati dal sistema nazionale.
Il Qatargate sicuramente butta petrolio sul fuoco acceso da coloro che con le Istituzioni europee vorrebbero un rapporto in cui le stesse fossero più soggette e meno indipendenti rispetto agli Stati membri. Invece, diviene la possibilità di riaccendere i fari su una Istituzione vulnerabile, sicuramente, ma che ha la potenzialità per diventare un nucleo centrale del policy-making europeo nel momento in cui diventasse un potere legislativo - come sarebbe giusto, essendo eco dei cittadini europei - soggetto a controlli e attenzionato da sistemi di pesi e contrappesi efficienti e istituzionalizzati, non lasciati alla cura degli attori politici che lo vivono - i più eccellenti, ma sempre umani e fallibili.
Lo scandalo che stiamo vivendo in questi giorni, che ha tutte le carte in gioco per diventare prossimamente un film Netflix, non è il primo e non sarà l’ultimo. Non lo sarà per l’UE, non lo sarà per gli Stati membri e per i non membri. Non deve diventare un attacco all’Unione e alla sua democrazia, ma un momento per capire le sue debolezze e come rinforzarle. Al netto di un’inchiesta giudiziaria che avrà sicuramente ancora dei colpi di scena pronti a essere svelati - come tutte le storie simili - e che dovrà fare ancora il suo corso completo.
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