Lula e Bolsonaro - un Brasile che ci riguarda

, di Christian Vecchio

Lula e Bolsonaro - un Brasile che ci riguarda
Marcelo Freixo, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/license...> , via Wikimedia Commons

Dopo quattro anni di presidenza Bolsonaro, il Brasile volta pagina e si riaffida al socialista Luiz Inácio Lula da Silva. In un momento di gravi tensioni geopolitiche e di crisi globali come quello che stiamo vivendo, cosa ci si può aspettare dal più grande e importante Paese latino-americano? E come le sue politiche interesseranno l’Europa?

Domenica 2 Ottobre e poi ancora domenica 30 Ottobre i 156 milioni di cittadini brasiliani aventi diritto al voto sono stati chiamati alle urne per scegliere chi sarà alla guida del Paese nei prossimi quattro anni. L’esito delle elezioni, pur in linea con le previsioni provenienti dai sondaggi politici condotti, ha rivelato molto più esiguo il margine di vittoria del candidato socialista del Partido dos Trabalhadores (PT), Luiz Inácio Lula da Silva, sull’uscente Presidente di estrema destra Jair Bolsonaro, del Partido Social Liberal (PL). Al secondo turno, con il 50,82% delle preferenze infatti, l’ex Presidente Lula si è aggiudicato la carica superando di pochissimo il 49,18% ottenuto dall’avversario. Un risultato, questo, che da una parte indica concreti segnali di speranza per il Brasile, dall’altra lascia emergere debite preoccupazioni circa il futuro dell’instabile democrazia che esce da mesi di infuocate campagne elettorali e deve fare i conti con le plurime minacce di ritorsione del Presidente uscente. Cosa aspettarsi dunque dal neo-eletto Presidente Lula? In che modo questo voto interesserà particolarmente anche il resto del mondo e l’Europa?

Anzitutto, prima di addentrarsi in previsioni sul futuro, urge volgere lo sguardo al passato. Alla luce della vittoria del candidato ed ex Presidente Lula, qual è la situazione socio-economica e politica dello Stato? Ebbene, il Brasile che si affaccia su queste elezioni presidenziali si presenta drammaticamente molto diverso dalla nazione che quattro anni fa votò Bolsonaro, nonché ancora più diverso dalla energica nazione in via di sviluppo che Lula stesso aveva lasciato al termine del suo doppio mandato durato fino al 2011. Registrando un tasso di disoccupazione intorno al 10% e con quasi due persone su dieci che soffrono la fame, il Paese mostra altissime disparità sociali; è in cima alla classifica mondiale, con un 5% di ricchissimi che possiedono tanto quanto il restante 95% della popolazione complessivamente. Secondo le stime di Oxfam, il 46% della forza-lavoro attuale è impiegato in tipi di lavoro informali. E le diseguaglianze sono registrate non soltanto su un livello sociale, ma anche geografico, etnico e di genere: il sud del Paese, area più industrialmente sviluppata e prevalentemente popolata da discendenti di coloni europei (soprattutto portoghesi, italiani, tedeschi e spagnoli), ospita le fasce più agiate dell’intera nazione, mentre nel nord e nord-est, economicamente più arretrati, vivono soprattutto creoli, neri e nativi. Le donne, a parità di impiego, guadagnano il 62% dello stipendio maschile.

Il Brasile di oggi è inoltre segnato, complice non solo la brutale propaganda elettorale degli ultimi mesi, ma anche le politiche attuate in questo verso durante l’uscente presidenza, da dati allarmanti circa la vita politica e democratica: il 67% dei cittadini aventi diritto al voto teme di essere oggetto di aggressioni per motivi politici, fenomeno che ha pericolosamente conosciuto un incremento del 335% dal 2019, anno della presa al potere di Bolsonaro. Da allora, il Paese ha testimoniato oltre 1200 delitti di membri del mondo politico; tra le vittime, negli ultimi tempi, due dirigenti del PT, assassinati si presume da membri del PL. Non sorprende alla luce di tutto ciò che l’[ONU abbia classificato la nazione sudamericana- tra i 40 Paesi dove la situazione dei diritti umani è worrisome>https://drclas.harvard.edu/event/world-watching-democracy-and-human-rights-brazil’s-2022-elections].

Responsabile del peggioramento delle condizioni economiche e sociali del Brasile è da molti creduto l’uscente Presidente Jair Bolsonaro. Imputato di aver trascinato il Paese in una nuova fase di arretramento su diversi fronti dopo lo sviluppo sotto i due mandati di Lula, il candidato di origine veneta incarna i desideri della fascia di popolazione più ricca e generalmente di discendenza europea. Convinto nazionalista, difensore della famiglia cristiana e anti-ambientalista, il Trump dei tropici, com’è ormai definito da tempo dagli avversari, si forma all’interno delle forze armate brasiliane, dove raggiunge il rango di Capitano. La dittatura militare autoritaria in cui si forma, nota come Regime Militare (1964-1985), resta sempre a lui cara, tanto da portarlo a sconvolgere diversi colleghi quando nel 1993, da deputato federale della nuova Repubblica Brasiliana, pronuncia un celebre discorso in cui afferma di rimpiangere il Regime Militare, di essere in favore di una dittatura e di non credere affatto che la democrazia possa risolvere i gravi problemi della nazione.

Ora, oltre alla predicazione dei propri ideali, Bolsonaro Presidente li ha anche messi in pratica, attuando tagli delle tasse e spendendosi in favore della privatizzazione delle imprese di Stato e contro i diritti civili. In materia di ambiente, da Capo di Stato della nazione in cui si estende più del 60% del polmone verde del mondo, egli si è dichiarato contrario agli accordi di Parigi per ridurre il riscaldamento globale, ha abolito il Ministero dell’Ambiente e ha permesso l’abbattimento di 3,725 milioni di ettari d’Amazzonia. Amazzonia contro i cui abitanti si è inoltre schierato, affermando non solo che non avrebbe concesso loro un centimetro di terra, ma che fu un errore non sterminarne i 200 gruppi indigeni. Negli ultimi due anni, in quanto noto oppositore dei vaccini e a lungo negazionista dell’emergenza sanitaria stessa, Bolsonaro è inoltre stato accusato per la cattiva gestione della crisi sanitaria nel Paese che ha registrato il secondo più alto tasso di mortalità per Covid-19. Quest’anno in particolare, il Presidente è altresì stato attaccato per aver apertamente criticato le sanzioni contro la Russia e per aver suggerito che il Presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj accettasse la sconfitta e si arrendesse. E ancora, come non ha mancato di accennare più volte ancora prima del voto, Bolsonaro ha minacciato il broglio alle elezioni e un’eventuale marcia su Brasilia in caso di sconfitta ingiusta.

Questo è il Brasile che giunge in eredità nelle mani del neo-eletto Presidente dopo quattro anni di amministrazione Bolsonaro, ma Lula ha idee e piani ben chiari sul da farsi.A differenza del rivale originario del sud del Paese, Lula nasce da una famiglia povera e analfabeta del nord-est della nazione, e da ragazzo lavora come lustrascarpe in strada, prima di divenire operaio in una fabbrica di lavorazione del rame. Infortunatosi sul lavoro a 19 anni (perdendo il mignolo della mano sinistra), comincia una lunga militanza nelle associazioni sindacaliste brasiliane, fino a fondare, insieme a un gruppo di intellettuali e professori, il Partido dos Trabalhadores con cui ha vinto le elezioni. Già Presidente dal 2003 al 2011, premiato per aver risollevato l’economia brasiliana, è stato lodato per aver portato il PIL pro capite a un aumento di 8.447 dollari e per aver ridato slancio alla finanza. Non solo: durante il suo mandato la deforestazione dell’Amazzonia si è ridotta dell’80% e diverse politiche sociali in favore dei piccoli contadini e degli indigeni sono state attuate con successo.

Al termine della presidenza, Lula è stato condannato e incarcerato per aver ricevuto tangenti dall’ente petrolifero Petrobras, fatto di cui si è sempre dichiarato innocente, anche durante i 580 giorni passati in prigione. Al termine delle vicende giudiziarie il processo è stato tuttavia annullato per una questione di giurisdizione e poiché il giudice non era stato imparziale. Nell’ultimo anno, pronunciandosi circa l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, Lula si è speso in favore di una soluzione pacifica e di un compromesso da raggiungersi tramite il dialogo. Dialogo che, specifica, deve essere reso possibile non stimolando odio verso Putin, ma incoraggiando un accordo. Ha accusato il Presidente ucraino Zelens’kyj e il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden di essere ad ogni modo altrettanto responsabili per lo scoppio della guerra, pur condannando il leader russo per l’errore compiuto con l’invasione. Rimane la sua promessa durante la campagna elettorale di parlare con Russia e Ucraina per terminare il conflitto: “se vinciamo e la guerra non sarà ancora finita, parleremo con loro e diremo che la guerra non è nell’interesse di nessuno, solo dei trafficanti di armi, e noi intendiamo vendere cultura, libri, nutrimento per l’umanità”.

A ben vedere, se si volessero tirare le somme, possiamo comprendere come le posizioni del neo-eletto Presidente Lula siano di vitale interesse non solo per la nazione brasiliana, ma anche per il mondo. In uno Stato esausto da anni di affannata deforestazione, negazione di diritti sociali e civili e cattiva gestione della crisi pandemica, il nuovo Presidente promette di portare inclusione ed assistenza.

La rinascita della sinistra sudamericana non avviene solo in Brasile, è recentemente emersa anche in Colombia con il Presidente Gustavo Petro e in Cile con il Presidente Gabriel Boric, oltre a essere presente ormai da tempo in Argentina, Perù e, nel centro america, in Messico. Ciò cambia fondamentalmente gli equilibri dell’intero continente e del suo ruolo nel mondo. Con l’elezione di Lula nel più grande e popoloso Stato sudamericano, la strada per un nuovo futuro progressista e socialista appare spianata. Va da sé che questo ha un impatto essenziale non solo sulla geopolitica latino-americana e nord-americana, ma globale. Il passaggio di testimone da Bolsonaro a Lula ci riguarda da vicino. Ci riguarda per i rapporti che noi europei, primo mercato dei prodotti ottenuti con la deforestazione che adesso verrà presumibilmente arrestata, decideremo di intrattenere col Brasile, ma anche, e forse soprattutto, per il peso di questo importante membro dei BRICS sullo scacchiere internazionale.

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