«Make Europe Great Adesso»: Come l’Europa Unita Può Salvare l’Ordine Democratico Globale

, di Cecilia Gialdini

«Make Europe Great Adesso»: Come l'Europa Unita Può Salvare l'Ordine Democratico Globale

Make America Great Again”. Fin dall’insediamento, l’amministrazione di Donald Trump ha cercato di mantenere la promessa fatta in campagna elettorale, giocando sull’idea che la potenza economica ed egemonica degli Stati Uniti si fosse in qualche modo indebolita e che avesse necessità di una guida forte per tornare all’antico splendore. Seguendo questa visione, il Presidente Trump, in pieno stile self-made man, ha portato avanti un approccio decisionista e noncurante delle conseguenze sul piano politico interno e internazionale, con una fiduciosa arroganza nella propria impunità. Forte della sua retorica sovranista, ha più volte attentato alle fondamenta stesse dell’ordine democratico internazionale, ad esempio ritirandosi dall’UNESCO in un segno di protesta a sostegno di Israele[1] o temporeggiare nel pagamento della quota di permaneneza nelle Nazioni Unite[2]. Difficile comprendere se questo continuo braccio di ferro con le norme internazionali abbia come scopo l’imposizione dello stato-nazione americano come nuova potenza egemonica mondiale, al di sopra pure delle istituzioni sovranazionali, o se non sia uno sforzo rivolto all’interno del paese, per rafforzare il consenso apparentemente calante in vista delle elezioni. Qualunque sia la motivazione, quello che è sicuro è che sia andato crescendo, fino alle dichiarazioni di qualche settimana fa. Il giorno 18 Novembre, infatti, il Segretario di Stato degli US, Mike Pompeo, si è lanciato in una nuova, veemente affermazione: gli insediamenti israeliani non sono più da considerarsi illegali, dichiarandoli “non incoerenti col diritto internazionale”[3][4], al contrario di quanto affermato da una sentenza del 2004 della Corte Internazionale dove si afferma che tali insediamenti siano illegittima occupazione di un territorio da parte di una delle parti nel conflitto.

Si potrebbe anche pensare che questa sia una cosa di poco conto, dal momento che contestare una sentenza non porta conseguenze pratiche (la legge è legge, giusto?), soprattutto considerando che non sono nemmeno i diretti interessati a creare la polemica. Invece non è proprio così, il diritto internazionale funziona in modo parecchio diverso da quello domestico, in particolare non esiste un effettivo sistema sanzionatorio. In una pericolante e non esaustiva sintesi: se io, individuo, violo una legge, ad esempio rubando al mio vicino, un tribunale mi condanna per furto e devo scontare una pena -sia pagando una compensazione sia passando del tempo in carcere -. Se uno stato viola una legge internazionale subisce più o meno lo stesso processo: il suo comportamento viene condannato dalle Nazioni Unite e sanzionato, con la differenza che la pena deve essere accettata da tutti gli stati che fanno parte dell’organizzazione. Il diritto internazionale, infatti, si basa sul comune rispetto delle regole e sulla prevedibilità del comportamento degli altri attori statuali; infatti, secondo il principio, caro alla teoria dei giochi, se un un entità nazionale decide di non rispettare le norme stabilite di comune accordo, anche tutti gli altri si sentiranno legittimati a disobbedire, soprattutto se chi deroga queste norme gode di grande prestigio politico e potere economico. Infatti, forti dell’esempio di arrogante impunità fornito dal Presidente Statuinitense, sempre più stati stanno derogando le regole del gioco; ovviamente questo accadeva già in precedenza ma il sospetto di violazione delle norme più basilari si portava sempre dietro un duro giudizio da parte della comunità internazionale. Di conseguenza, si capisce quanto l’atteggiamento irreverente e nazionalista del Presidente Trump sia pericoloso per la rule of law globale.

Mentre gli Stati Uniti erodono a poco a poco l’ordine democratico internazionale, l’Unione Europea che cosa fa? Ironicamente (o fortunatamente), esattamente il contrario. Pochi giorni prima, il 4 Novembre, la Portavoce per l’Azione Esterna dell’UE, aveva rilasciato un comunicato in cui si rimarcava la posizione dell’Unione nei confronti della sentenza della Corte Internazionale e la condanna per il recente ampliamento degli insediamenti[5]. Nel frattempo, la Corte Europea di Giustizia, riprendendo una decisione del Consiglio del Dicembre 2010, conferma la posizione sulle etichette recanti l’indicazione di provenzienza nel caso di prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani in Palestina: riconoscendone l’illegalità (e conformandosi quindi al diritto internazionale), l’Unione Europea aveva già in precedenza deciso di non identificare come “Made in Israel” prodotti ottenuti o lavorati nei territori occupati[6]. Seguendo questa linea guida, Federica Mogherini, ormai ex Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri, ha commentato la decisione del Segretario di Stato Pompeo rimarcando la necessità di adempire alle obbligazioni derivate dalla Convenzione di Ginvera[7], riconoscendo quindi l’importanza del diritto internazionale.

Sebbene queste prese di posizione siano lodevoli, purtroppo non sono sufficienti. L’azione estera dell’Unione Europea è ancora ben lontana dall’essere un coeso e coordinato insieme di iniziative, ma somiglia molto di più a un dissonante mosaico dove c’è sempre qualcuno che dissente. Dal riconoscimento del Kosovo, all’assenza di un esercito unico europeo, alla (non) rinegoziazione del Trattato di Dublino, gli stati membri si sono sempre sentiti autorizzati a far prevalere i propri interessi nazionali a fronte di una politica di affari esteri e sicurezza unitaria. E se finora il prezzo da pagare era solamente un minore peso nella scacchiera internazionale, le manovre nazionalistiche e protezionistiche di Trump stanno alzando l’asticella sempre di più. Infatti, in un contesto globale dove le grandi potenze economiche cercando di minare le fondamenta della rule of law e della pace democratica, disattendendo le norme di diritto, è necessario un nuovo attore che si ponga da esempio. L’Unione Europea è attualmente l’unica entità che possa rivestirsi di questo ruolo ma le spinte nazionalistiche al suo interno frenano la sua azione verso l’esterno. L’Unione incarna l’essenza stessa dello stato di diritto, della democrazia e della pace, valori espressi nei primi articoli dei Trattati fondativi ma il cui spirito era già presente nel Manifesto di Ventotene. E proprio quest’ultimo fornisce la chiave di lettura: come cantavano i Pink Floyd, united we stand, divided we fall, l’Unione nella sua attuale forma semi-federale e semi-intergovernativa non ha alcuna possibilità di fornire una reale contrapposizione agli Stati Uniti di Trump. Solo la svolta verso una federazione compiuta potrà dare il prestigio e il peso politico per potersi imporre come garante dell’ordine internazionale, terminando l’egemonia statunitense e promuovendo su sfera globale i valori fondativi di giustizia, democrazia e libertà.


[1] “US and Israel formally quit UNESCO,” Al Jazeera, 01-Jan-2019.

[2] “Contributions received for 2019 for the UN Regular Budget - Committee on Contributions - UN General Assembly.”

[3] J. Borger and O. Holmes, “US says Israeli settlements no longer considered illegal in dramatic shift,” The Guardian, 18-Nov-2019.

[4] J. Hansler, N. Gaouette, and J. Diamond, “Pompeo announces reversal of longstanding US policy on Israeli settlements,” CNNPolitics, 18-Nov-2019.

[5] “Statement by the Spokesperson on latest settlement announcement by Israeli authorities - European External Action Service.” [Online]. Available: https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/69856/statement-spokesperson-latest-settlement-announcement-israeli-authorities_en. [Accessed: 04-Dec-2019].

[6] L. Cook and J. Federman, “Court says EU states must label Israeli settlement products,” Associated Press News, 18-Nov-2019.

[7] “EU says Israeli settlement on Palestinian territory is illegal - Reuters,” Reuters, 18-Nov-2019.

Fonte immagine: Wikipedia.

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