Sebbene non fosse stata di certo la prima volta che Naval’nyj e la sua famiglia si sono trovati ad affrontare disagi di natura personale, l’anno scorso la loro vita ha subito una svolta molto più oscura. Dopo essere stato avvelenato con l’agente nervino di uso bellico Novičok, l’oppositore politico ha resistito abbastanza a lungo da essere trasportato e curato in Germania, dove si è salvato. Appena rimesso piede in territorio russo al suo ritorno a Mosca, cinque mesi dopo, Naval’nyj è stato arrestato e poi condannato a 2,8 anni di prigione.
Resosi più forte in seguito agli eventi degli ultimi mesi, Naval’nyj è diventato il volto delle proteste contro il regime di Putin, non solo per i suoi strenui sostenitori, ma anche per molti altri cittadini in tutta la Russia, che spesso erano stati, nel migliore dei casi, spettatori passivi.
Naval’nyj e la sua ingiusta prigionia, però, non sono l’unica ragione che ha portato alle recenti proteste. Il tentato omicidio, l’arresto illegale e, cosa più importante, il suo incredibile coraggio, sono arrivati al punto di svolta di un risentimento molto più ampio e profondo nel popolo russo. Il suo calvario è servito da innesco per i russi a scendere in strada, ma i semi del malcontento erano stati seminati molto tempo prima.
Il drastico declino economico e disagio sociale che hanno seguito la pandemia da Covid-19, coronati con l’impossibilità per i cittadini russi di esprimere liberamente l’insoddisfazione per la loro leadership, hanno finalmente portato un cittadino, perlopiù comune e politicamente disimpegnato, a rendersi conto che il regime di Putin si è spinto troppo oltre, ha rubato oltremisura, ha perso completamente il contatto con la realtà e lo hanno spinto a realizzare che chiunque potrebbe essere il prossimo nella sua lista di bersagli.
Pubblicando il video del dialogo con il suo mancato assassino e conducendo un’indagine sulla «più grande bustarella di Putin» -un lussuoso palazzo sul Mar Nero, completo di pista privata di hockey su ghiaccio e di vigneto in stile francese- Naval’nyj ha avuto successo in qualcosa che nessuno nella storia russa moderna era riuscito a compiere prima di lui: usurpare la sacralità del regime russo. Come la storia russa in particolare ha dimostrato, i regimi autoritari si sgretolano in fretta quando perdono la loro aura divina, vengono ridicolizzati e iniziano a essere visti per quello che, di fatto, sono sempre stati: regimi oppressivi guidati da truffatori, per l’unico beneficio dello zar e dei suoi alleati.
Purtroppo, qualcosa potrebbe sfuggire all’occhio dell’opinione pubblica nell’Europa occidentale, in questa vorticosa e drammatica saga in stile Netflix. Nella retorica russa pro-Cremlino, ogni accenno al cambiamento nella leadership politica spesso si scontra con la domanda «Se non Putin, allora chi?». Con la stessa frequenza, i sostenitori di Naval’nyj si porranno un interrogativo simile: «Se non Naval’nyj, allora chi (...potrebbe portare la democrazia in Russia)?» Pur essendo entrambe le domande abbastanza logiche nell’attuale clima politico in Russia, la vera questione è come si potrebbe costruire un sistema democratico pluralista, in un contesto ove quegli interrogativi non interesseranno a nessuno.
Fin dalla sua elezione a presidente nel 2000, Vladimir Putin ha eroso lentamente, ma costantemente il pluralismo politico e ogni possibilità di una leale concorrenza elettorale. Ha steso cemento sul terreno politico russo, togliendo spazio a politici di talento e motivati. In una tale realtà, è quasi un miracolo che Aleksej Naval’nyj sia salito alla ribalta politica e pubblica. Pur facendo affidamento su una base di consenso piuttosto ridotta rispetto alle dimensioni del paese, è riuscito a convincere i cittadini a manifestare nel 2011, e ha continuato a farlo negli ultimi 10 anni. Tuttavia, molti di coloro che ambirebbero a vivere in una Russia libera e democratica, fino adesso, non si sono allineati con Naval’nyj e la sua squadra. Molti ritengono le sue opinioni nazionalistiche [1] e temono che un governo da lui guidato potrebbe dare semplicemente un volto diverso allo stesso regime. Poi, nell’agosto 2020, è stato avvelenato. Poi ancora, condannato al carcere in un caso giudiziario, che la Corte europea per i diritti dell’uomo ha ritenuto fondamentalmente ingiusto.
La Russia è arrivata a un punto in cui non importa se si sostiene o meno Aleksej Naval’nyj come politico. La lotta per Naval’nyj è, infatti, diventata la lotta per «un Naval’nyj». Dalla battaglia per Naval’nyj presidente, si è passati a una battaglia per la possibilità che, in Russia, anche qualcuno come Naval’nyj diventi presidente. Non una sfida alla ricerca del potere politico, ma un’azione per una Russia libera e democratica.
Una Russia dove il pluralismo politico esiste. Una Russia dove chiunque può esprimere la propria opinione, senza il timore di essere arrestato o mandato in prigione. Una Russia dove Aleksej Naval’nyj è libero di parlare a milioni di persone dalla tribuna elettorale, piuttosto che da una cella di prigione, è una Russia dove il cemento è stato sradicato e terreno fertile si è aperto per far crescere altri semi. Sostenere la sua lotta oggi significa sostenere la lotta per una Russia libera, dove chiunque può candidarsi alle elezioni e promuovere le proprie opinioni politiche. Spero che un giorno questa realtà sia tangibile: non un presidente Naval’nyj, ma una pluralità di veri partiti e candidati al governo e all’opposizione, che discutono di questioni concrete e si sforzano per migliorare le condizioni economiche, sociali e politiche dei cittadini russi attraverso istituzioni e processi democratici.
Cosa succederà in futuro, nessuno può affermarlo. Posso solo sperare che il sacrificio di Naval’nyj e della sua famiglia per dare alla Russia un futuro migliore segni l’inizio della fine. La fine dei regimi individuali, governati da chi, non importa.
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