Considerazioni sparse
In Germania si è assistito a una netta spaccatura tra est e ovest, in Francia sono avanzate sia la sinistra che la destra estreme, in Italia alcune candidature divisive hanno ricevuto ampio consenso e in Belgio si è evidenziata una profonda divisione tra Fiandre e Vallonia. La campagna elettorale è stata segnata da episodi di aggressioni e violenze, sebbene contenute, mentre l’affluenza generale è leggermente aumentata rispetto alle elezioni precedenti.
Risultati nazionali e implicazioni europee
A livello europeo, i risultati frammentati dei 27 Stati membri hanno mitigato quella che era stata mediaticamente definita come “l’ondata nera”. Sebbene sul piano nazionale si siano osservati alcuni cambiamenti radicali negli equilibri partitici, a livello continentale si è verificato un moderato spostamento a destra dell’asse politico. La formazione dei gruppi parlamentari rappresenta comunque un passaggio cruciale per comprendere gli effetti del voto sugli equilibri del futuro Parlamento europeo e sulla maggioranza necessaria per l’elezione del Presidente della Commissione. Se vediamo una certa stabilità nei gruppi PPE, S&D, Verdi e Sinistra, potrebbero verificarsi rimescolamenti al centro, spinti dalle mosse di Macron, e a destra, dove Meloni sta cercando di attrarre partiti dell’ECR, ID e nuovi eletti.
Uno degli interrogativi principali riguarda la tenuta del cosiddetto «cordone sanitario» a livello europeo nei confronti dei partiti che un tempo si consideravano “euroscettici” o “antisistema”. Nella politica nazionale è ormai saltato in molti Paesi, come dimostrano i casi di Italia, Austria e Paesi Bassi. In questo contesto, il PPE si trova in una posizione privilegiata per prendere decisioni sulla creazione o meno di una nuova “maggioranza Ursula”, con Weber che ha sempre mantenuto aperta la porta a possibili alleanze a destra (anche in chiave occasionale).
Gli effetti delle elezioni si sono fatti sentire anche sulla dimensione intergovernativa dell’UE. I Governi di Francia, Germania, Belgio e Paesi Bassi, quattro dei sei Paesi fondatori, escono molto più deboli da queste elezioni. Al contrario, i Governi di Italia, Spagna e Polonia ne escono piuttosto rafforzati.
Le elezioni sanciscono, almeno temporaneamente, la fine della leadership franco-tedesca, che già attraversava una profonda crisi. Si osserva quindi la possibile affermazione di una leadership dei “pesi medi” (come Italia, Spagna e Polonia) per portare avanti singole iniziative sul piano delle politiche comunitarie.
La Francia, in particolare, attraversa una fase molto complessa: la dissoluzione dell’Assemblea nazionale e la nuova alleanza del fronte popolare hanno messo sotto pressione il debito pubblico francese, suscitando preoccupazioni economiche e politiche. In Germania, un Governo già debole e diviso ne esce ulteriormente indebolito. In Belgio, la crisi di Governo apre scenari possibili sulla stessa rottura dell’unità nazionale [1].
Prospettive future e riforme necessarie
L’agenda europea ha temporaneamente chiuso la finestra storica sulla riforma dei Trattati e su una possibile Convenzione, legando quella che era stata l’apertura del cantiere istituzionale con la Conferenza sul Futuro dell’Europa ad i nuovi tempi dettati dall’allargamento.
Crisi dopo crisi, l’asse del dibattito comunitario si sta però spostando da tempo sulle politiche, testimoniando l’esistenza di un vero potere europeo da indirizzare che, post pandemia e guerra in Ucraina, ha convinto anche larga parte delle forze un tempo euroscettiche a volerlo presidiare [2].
Iniziative per la modifica dei Trattati in una fase in cui i progressisti non hanno più né una strategia, né una bussola e né un’identità politica definita potrebbero addirittura essere controproducenti: si rischia di suscitare reazioni antagoniste, polarizzando lo scontro su un piano ideologico che difficilmente possono vincere, invece di favorire l’assorbimento delle forze che un tempo erano euroscettiche in un sistema che non metta più in discussione l’esistenza dell’assetto comunitario.
Dall’altra parte, ricordiamo che chi si rifà al pensiero politico nazionalista (adattandolo, su tutti i livelli, dalle relazioni internazionali al piano etico/identitario) è ben più capace di (e abituato a) far breccia nel dibattito pubblico attraverso il racconto di quelle che Anderson definiva “comunità immaginate”: illusioni auto-consolatorie, estremamente attraenti per i cittadini, soprattutto in un contesto post-ideologico.
Il dibattito pubblico sarà presto focalizzato sul bilancio dell’Unione, sulla necessità di una capacità fiscale autonoma per affrontare la “tripla transizione” (verde, digitale e sociale) a garanzia dei beni pubblici europei. Già entro giugno 2025 la Commissione dovrà presentare il nuovo piano di bilancio pluriennale, occorre quindi evitare di arrivare impreparati. Altra scadenza fondamentale che richiede una certa urgenza nel ricostituire un’azione strategica ad hoc sono le prossime elezioni americane. In caso di vittoria di Trump e di possibile indebolimento della NATO, è necessario che nel dibattito pubblico siano già chiare le parole d’ordine che presentino il pressante bisogno di una politica estera e di difesa europea.
Occorre ragionare rapidamente su cosa è possibile fare con i Trattati attuali, utilizzando questo tempo che ci divide da un futuro rilancio costituente, per avanzare nell’integrazione su obiettivi specifici, come il completamento del mercato unico, il Green Deal e la costruzione di un sistema europeo di difesa (per quanto riguarda quest’ultimo punto si può effettuare un tentativo di «raggiro» del blocco previsto nel TUE) [3].
La graduale affermazione di una sovranità europea accanto a quelle nazionali non prosegue da sola, occorre che le forze politiche si battano per questa trasformazione, indipendentemente dall’immediatezza delle modifiche dei trattati. Ovviamente resta cruciale tenere viva la proposta costituzionale e del superamento dell’unanimità in chiave federale come bussola di ogni singola azione, ma è un tema che si potrà affrontare solo grazie al supporto del Parlamento europeo in vista dell’allargamento dell’Unione.
Il ruolo dei federalisti in una realtà complessa
Nella fase specifica che stiamo vivendo, la politica non può più ridursi a una contrapposizione manichea tra europeisti e antieuropeisti, lo scenario è complesso e occorre adattarsi per essere efficaci e non cadere nell’anonimato, nella strumentalizzazione o nel collateralismo. Come federalisti, per restare un’avanguardia politica, dovremo continuare a lavorare su due strade parallele, apparentemente in contraddizione, ma entrambe fondamentali per uscire dall’impasse. Il modello è quello classico weberiano dell’etica della convinzione (o dei principi) e di quella della responsabilità (o ad consequentiam).
Da un lato, sul piano della convinzione, occorre fare un serio lavoro sul piano teorico, costruendo una prospettiva di futuro in contrapposizione al ritorno al passato del nazionalismo. Dunque, una battaglia culturale non solo per ciò che rappresenta la proposta federalista in sé, ma per il suo richiamo ideale di collante di battaglie di civiltà, per la sua capacità di includere e di dare una narrazione e un’identità chiara alle forze progressiste. L’europeismo utilitarista, intorno al narrare ostinatamente i privilegi di una “Europa-bancomat” non serve più a molto. Per parlare ai cittadini e ricostruire un consenso occorre mobilitare le passioni, l’identità, dare una dimensione di senso a ciò che significa essere europei nel mondo globalizzato. Di questo dovremo parlare con i corpi intermedi per aiutarli a uscire dalla crisi e con tutti i nuovi (e forse più vitali) movimenti sociali e politici giovanili per cercare di concretizzarne le proposte sul piano istituzionale. In termini pratici, il tema su cui si potrebbero facilmente mettere in rete queste forze è quello della garanzia dei beni pubblici europei, della solidarietà (territoriale, generazionale, ecc.) e della costruzione di un’Europa capace di agire nei contesti economici e sociali dove gli Stati nazionali sono “polvere senza sostanza” quando si tratta di attuare soluzioni efficaci [4].
Dall’altro lato, sul piano della responsabilità, occorre però distinguere una strategia fondata sugli interessi che Spinelli definiva “duri, tenaci e realizzatori” per proporre delle alleanze trasversali che rompano la linea del fronte progressista/conservatore e creino un’unità d’intenti. In questo senso, occorrono chiare iniziative su alcune tematiche chiave che permettano un avanzamento graduale del processo di unificazione sfruttandone le antinomie. Come per l’euro e come già anticipato da Albertini, non si deve percorrere una via razionale o lineare per costruire lo “Stato europeo”, ma assecondare tutte le possibilità di avanzamento per sfruttare in senso federalista le contraddizioni che ne scaturiscono. Alcuni esempi sul piano strategico, vista la prossima discussione sul bilancio, possono essere il tema della politica industriale, della competizione e dell’energia. Ne abbiamo scritto a lungo sul Libro verde del Movimento Europeo [5]. Ma, ancora più evidente, è il tema della politica di difesa, visto che il conflitto russo-ucraino continua e le elezioni americane sono dietro l’angolo.
In entrambi i casi, le proposte devono prevedere dei passi immediati, la costituzione di reti orizzontali che dovrebbero essere adottate per presidiare il dibattito pubblico, arrivare ai cittadini e non avere un intento meramente “simbolico”. Per essere efficaci e affinché le associazioni, i movimenti, le forze politiche e istituzionali vi partecipino le proposte devono essere semplici, concrete e realizzabili. Dobbiamo uscire dalla trappola del dibattito intorno alle parole d’ordine, per entrare in quello sul futuro che sta formando l’opinione pubblica di domani. Ormai la categoria federalista esiste anche a prescindere dal “federalismo storico”, ma rischia spesso di essere mal interpretata. Per questo è importante muoversi come una bussola tra i progressisti, ma anche pragmaticamente tra tutte le forze politiche che sono in campo.
Conclusioni
Le elezioni del Parlamento europeo del 2024 hanno mostrato l’importanza della partecipazione dei cittadini e la necessità di rafforzare la legittimità democratica delle Istituzioni dell’Unione europea. Capire come intervenire in questo processo con un ruolo da protagonisti, iniziando a elaborare una strategia prima delle prossime scadenze sarà fondamentale per non essere superati o strumentalizzati.
La forza dei federalisti è nella loro capacità di declinare in termini concreti una narrazione di futuro possibile, dare una speranza alle persone in un mondo in crisi. Spetta a noi capire come accendere concretamente quella scintilla.
Questo significa, da un lato essere una voce alternativa al nazionalismo imperante, dall’altro mettere a sistema gli interessi che permettano un concreto avanzamento dell’unificazione europea.
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