Erano le date che si attendevano perché si conoscesse il destino della revisione dei Trattati, quelle del 21 e 22 marzo. Infatti, a seguito della proposta del Parlamento europeo, sarebbe spettato al Consiglio europeo decidere a maggioranza semplice, in virtù dell’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea, sull’apertura o meno di una Convenzione che avrebbe avviato il processo di riforma.
Il Consiglio europeo, che in quelle date si è riunito a Bruxelles, ha trattato questioni certamente di rilevanza fondamentale per il periodo che stiamo vivendo, dal rinnovato sostegno all’Ucraina agli ultimi sviluppi in Medio Oriente fino alle preoccupazioni espresse dagli agricoltori europei, ma sul tema riforma ha taciuto. Non ha trovato il tempo e la voglia di fare quel passo in avanti, di dare valore a quel futuro dell’Europa sul quale, per un intero anno, le Istituzioni hanno spinto i cittadini a esprimersi.
Le conclusioni del Consiglio europeo
Il primo punto all’ordine del giorno nella riunione dei Capi di Stato e di Governi europei ha riguardato la situazione in Ucraina. Caduto il veto del Presidente ungherese Viktor Orbán, che ha ottenuto negli scorsi mesi, con un compromesso identificabile senza problemi come un ricatto, lo sblocco dei fondi a Budapest del Next Generation EU in cambio della sua mancata opposizione agli aiuti al Paese aggredito dalla Russia di Putin - compromesso per cui il Parlamento europeo intende fare causa alla Commissione - il Consiglio ha confermato l’impegno a fornire sostegno politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico all’Ucraina.
Questo tema ha aperto la discussione sulla sicurezza e la difesa dell’Unione. Il focus poteva pienamente agganciarsi al progetto di riforma, aprendo la discussione su una possibile politica di difesa comune, che non è mai stata seriamente trattata dal fallimento della Comunità Europea di Difesa (CED) del 1954. Il Consiglio europeo ci ha girato intorno. Ha concordato una maggiore spesa per la difesa, investimenti congiunti nell’industria militare e l’ottimizzazione delle risorse finanziarie. Insomma, ha concordato una solidarietà economica in ambito difesa, ma non una solidarietà pratica, confermando la volontà di rimanere ancorati agli eserciti nazionali coinvolti nella NATO.
C’è poi stato spazio per il conflitto in corso tra Israele e Palestina. Per quanto il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel abbia indicato una “comune volontà di mandare un messaggio forte e unito”, probabile pezza alle spaccature sopravvenute tra gli Stati europei sul tema in sede ONU, non ci sono state forti prese di posizione. L’Istituzione ha nuovamente condannato l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre e ha esortato il Governo israeliano a non lanciare alcuna operazione di terra a Rafah, riconoscendo come si sia già davanti a una grave tragedia umanitaria, si è appellata al diritto internazionale, e ha auspicato il principio della soluzione dei due Stati e la fattibilità di un futuro Stato palestinese. Un auspicio che, tuttavia, sarà difficile - se non impossibile - far valere senza una politica estera unica, tema che il dibattito non ha preso in considerazione.
E ancora, sull’agricoltura, il Consiglio europeo ha preso atto delle proteste degli ultimi mesi, ha invitato Commissione e Consiglio a portare avanti i lavori sulle soluzioni tese a ridurre gli oneri amministrativi, ad allentare la pressione finanziaria e a garantire una concorrenza leale. Sulla migrazione, ha appoggiato la Commissione a rafforzare gli strumenti per contrastare il traffico e la tratta di esseri umani e ha fatto appello a un’improbabile alleanza mondiale per rispondere alla sfida globale. Sugli esteri, ha sollevato preoccupazioni per il deterioramento della situazione ad Haiti e la nuova ondata di violenza, per la condizione dei diritti umani in Bielorussia dove è stato rieletto Presidente in un contesto tutt’altro che democratico Aljaksandr Lukašenka e per la persecuzione dell’opposizione politica in Russia, che continua la sua storia con la morte per cause mai chiarite di Alexei Navalny.
Infine, il Consiglio europeo ha parlato di allargamento. L’importante decisione è quella di avviare i negoziati di adesione con la Bosnia-Erzegovina, di continuare quelli con Ucraina e Moldova e di sostenere il raggiungimento di tale step con la Georgia. Ma questo è anche l’unico frangente in cui l’Istituzione fa apertamente riferimento a una possibile riforma interna, “con l’obiettivo” - si legge nel documento riassuntivo della riunione - “di adottare, entro l’estate del 2024, conclusioni su una tabella di marcia per i lavori futuri”. Una dichiarazione molto simile a quella compiuta il 20 marzo, giorno precedente la seduta del Consiglio europeo, dalla Commissione europea nel comunicato alle altre Istituzioni sulle riforme pre-allargamento e sulle revisioni delle politiche.
Il comunicato della Commissione europea
“Sosterrò sempre questa assemblea, e tutti coloro che desiderano riformare l’UE affinché funzioni meglio per i suoi cittadini. Anche attraverso una Convenzione europea e un cambiamento dei trattati, se e laddove necessario.” Così si esprimeva lo scorso settembre la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, al Parlamento europeo, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione europea. Leggendo il comunicato del 20 marzo, si evince che quella necessità, per la Commissione, non è stata raggiunta.
La Commissione ha sì ritenuto importante che l’Unione europea si adegui a un nuovo allargamento che, per quanto comporti sfide tanto per gli Stati candidati quanto per l’organizzazione stessa, è visto come un’opportunità strategica per rafforzare la posizione geopolitica dell’Europa e per promuovere sicurezza e prosperità. È risultato quindi essenziale per l’Istituzione che vi sia un accesso graduale al mercato unico per i futuri Stati membri e che l’Unione li approcci attraverso strumenti adeguati, quali l’istituzione di partenariati strategici in settori di interesse reciproco e l’accelerazione dello sviluppo delle infrastrutture energetiche e di trasporto.
Riguardo alla governance dell’Unione europea, e quindi al punto critico, la Commissione ha sostenuto lo sfruttamento delle possibilità di adattamento offerte dai Trattati esistenti anziché proporre una riforma completa. Una delle principali preoccupazioni riguarda il meccanismo decisionale all’interno del Consiglio europeo e del Consiglio dell’Unione europea, dove tante questioni richiedono ancora il voto all’unanimità.
Qui il discorso si fa controverso, perché la riforma dei Trattati avverrebbe anzitutto proprio per abolire l’unanimità in parecchi campi e rendere il processo di integrazione europea più snello e democratico. Eppure la Commissione è sembrata dimenticarsene e, ragionando sempre e solo di allargamento, ha suggerito l’applicazione di quelle clausole presenti nei Trattati che consentono il passaggio dal voto all’unanimità al voto a maggioranza qualificata in determinati settori. Le famose e mai attivate “clausole passerella”.
Le clausole passerella
Previste al settimo, e ultimo, paragrafo dell’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea, le clausole passerella sono un meccanismo volto a rendere più veloce il processo decisionale europeo. Consentono di trasformare il metodo di voto all’interno del Consiglio europeo e del Consiglio dell’Unione europea da unanime a maggioranza qualificata, in determinati casi e per specifici settori. Non possono essere toccati dalle clausole passerella le competenze dell’Unione europea, i principi fondamentali e - per chiara espressione dell’articolo 48 - la difesa.
Dall’entrata in funzione del Trattato di Lisbona, nel 2009, queste clausole non sono mai state attivate. Anzi, il Consiglio europeo, unica Istituzione che può decidere di mettere in moto il meccanismo, mai ha affrontato seriamente il discorso. Anche perché, paradossalmente, per far sì che una certa clausola passerella abbia il via, il Consiglio europeo deve pronunciarsi all’unanimità.
Quindi, ricapitolando, la Commissione europea a un progetto di riforma che avrebbe fortemento limitato le espressioni all’unanimità previste nei Trattati, ha preferito suggerire che il Consiglio europeo decida all’unanimità perché l’unanimità non entri in gioco in un singolo settore: quello dell’allargamento.
Con più dubbi che certezze, l’appuntamento con le riforme slitta alla prossima seduta del Consiglio europeo, in programma per il 27 e 28 giugno.
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