Per un “dividendo ambientale” di cittadinanza

, di Alberto Majocchi

Per un “dividendo ambientale” di cittadinanza

L’idea di un reddito di cittadinanza viene fatta risalire al filosofo inglese Thomas Paine. In La giustizia agraria, del 1794, Paine propone infatti di imporre un tributo sull’accesso alla proprietà fondiaria, destinato a confluire in un Fondo nazionale, consentendo così di trasferire una somma uguale a tutti – indipendentemente del livello di reddito –, equivalente alla “eredità naturale che appartiene al diritto di ciascun uomo”, consentendo così di risolvere il problema della perdita di questa eredità a seguito dell’introduzione della proprietà privata.

Tradotto in termini più vicini al dibattito odierno, l’idea di Paine è che la terra rappresenti un bene comune, di cui tutti dovrebbero poter fruire. Ma questo non avviene a causa dell’acquisto di terre da parte di proprietari privati. Il finanziamento di un Fondo attraverso un prelievo posto a carico di chi acquisti la terra, consentirebbe di distribuire una somma a tutti, compensando coloro che ne beneficiano della perdita di una quota parte di un bene comune.

Questo richiamo teorico può essere utile per inquadrare l’“Economists’ Statement on Carbon Dividends”, pubblicato sul Wall Street Journal del 17 gennaio scorso e sottoscritto da 27 Premi Nobel in Economia, 15 ex-Presidenti del Council of Economic Advisors, e quattro ex-Presidenti della Federal Reserve (un vero e proprio parterre de rois americano!), che già nel titolo lascia trasparire l’idea di un dividendo sociale legato al possibile utilizzo di un bene comune, riprendendo così un concetto già impiegato da Meade in riferimento al suo paese ideale di Agathopia. Nel caso del carbon pricing, il bene comune, per gli economisti americani, è rappresentato dalla qualità dell’atmosfera messa a rischio dalle emissioni di anidride carbonica; il dividendo che i cittadini potrebbero vedersi attribuito, in parallelo alla riduzione dei cambiamenti climatici, dovrebbe appunto essere finanziato attraverso la carbon tax.

Lo Statement si compone di cinque punti, che possono chiarire il significato di una futura carbon tax europea introdotta a complemento dello European Trading System e destinata a finanziare, da una lato, la transizione ecologica, con il passaggio dal consumo di combustibili fossili all’utilizzo di energie rinnovabili e, d’altro lato, a garantire l’equità sociale della manovra attraverso trasferimenti perequativi che favoriscano i detentori di redditi più bassi.

Nel punto I di questa dichiarazione si sottolinea che la carbon tax rappresenta lo strumento più efficiente per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Non si tratta di imporre un nuovo prelievo, bensì di correggere un fallimento del mercato, fornendo un segnale di prezzo per indirizzare il comportamento di produttori e consumatori nella direzione di un’economia carbon free.

L’aliquota della carbon tax dovrebbe aumentare ogni anno fino a quando gli obiettivi di riduzione delle emissioni saranno conseguiti, e la manovra dovrebbe essere revenue-neutral per evitare un aumento delle dimensioni dell’intervento pubblico. Il prezzo crescente del carbonio incoraggerà l’innovazione tecnologica e lo sviluppo di adeguate infrastrutture, e la produzione di beni e servizi carbon-efficient (punto II).

Un prezzo del carbonio che aumenta gradualmente nel tempo renderà superflue le regolamentazioni finora utilizzate per incentivare le energie rinnovabili, che sono meno efficienti. La sostituzione di un segnale di prezzo ai pesanti interventi amministrativi attuali favorirà lo sviluppo economico e garantirà alle imprese la stabilità del quadro di regolamentazione, necessaria per promuovere gli investimenti a lungo termine nelle energie pulite (punto III).

Per prevenire fenomeni di carbon leakage e non danneggiare la competitività delle imprese americane, dovrà essere introdotto il prelievo di un diritto compensativo alla frontiera (border carbon adjustment). Questo meccanismo spingerà anche gli altri paesi a introdurre un prezzo sul carbonio (punto IV).

Infine, per garantire l’equità sociale della manovra e la praticabilità politica della proposta, il gettito dovrà essere riciclato nell’economia trasferendo a tutti cittadini americani una somma in misura fissa, indipendentemente dal livello del reddito, e senza condizioni. In conseguenza, la maggioranza dei cittadini americani riceverà attraverso il “carbon dividend” più di quanto pagherà a seguito dell’aumento del prezzo dell’energia (punto 5). Si tratta in sostanza di garantire un reddito di cittadinanza, nel senso indicato da Paine: il trasferimento monetario (carbon dividend) compensa i cittadini della perdita generata da imprese e famiglie che utilizzano combustibili fossili e provocano i cambiamenti climatici, a danno di un bene comune per il resto della popolazione.

La presa di posizione degli economisti americani dovrebbe favorire anche in Europa il rilancio di un progetto per imporre un prezzo sul carbonio, avviato con l’intervento di Macron a La Sorbonne, ma che ha avuto finora un seguito limitato. Visto lo stallo della proposta, e con l’obiettivo di influenzare il dibattito politico in vista delle prossime elezioni europee, l’Associazione per una Carbon Tax europea (ACTe) ha quindi deciso di partire dal basso, lanciando una Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) per promuovere una legislazione – del tutto simile alla proposta degli economisti americani – che introduca un prezzo sulle emissioni di carbonio nell’Unione a complemento dello European Trading System.

Se nell’Unione europea verrà imposto un carbon pricing, una parte del gettito potrà essere utilizzata a livello nazionale per ridurre il prelievo sui redditi più bassi, ma le risorse ottenute con l’imposizione di un diritto compensativo alla frontiera affluiranno direttamente, quali risorse proprie, al bilancio europeo. Potranno essere utilizzate per un “Piano europeo di sviluppo sostenibile”, al fine di promuovere la transizione ecologica, favorendo gli investimenti necessari per aumentare la produzione di energie rinnovabili e per ridurre drasticamente le emissioni di anidride carbonica, contribuendo così all’eliminazione del rischio di cambiamenti climatici.

La trasformazione nella composizione del mix di fonti di energia produrrà effetti rilevanti sia dal lato della produzione che del consumo. Le industrie energivore saranno incentivate a modificare la struttura produttiva in una direzione più favorevole alla conservazione ambientale. Ma misure adeguate di natura fiscale dovranno essere promosse a favore delle famiglie, soprattutto quelle con redditi bassi, per compensare la perdita di potere d’acquisto derivante dall’aumento del prezzo dell’energia.

La crisi politica scoppiata in Francia a seguito dell’aumento della tassazione sui carburanti ha mostrato con chiarezza che la sfida per il controllo dei cambiamenti climatici dovrà essere accompagnata da misure volte a garantire l’equità sociale. Il progetto di un’ICE, che richiede la raccolta di un milione di firme in almeno sette paesi dell’Unione, è di difficile realizzazione. La mobilitazione dell’opinione pubblica dovrebbe fare da sprone a un’azione di quelle forze politiche nel nuovo Parlamento europeo che vorranno battersi per ridurre sia i rischi di riscaldamento globale sia le diseguaglianze sociali.

Commento pubblicato dal Centro Studi sul Federalismo.

Fonte immagine: Richard Croft - Geograph.

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