Siamo sicuramente di fronte ad un’espressione infelice.
L’idea di difendere qualcosa trasmette immediatamente una chiusura e questo concetto confligge con l’idea di un’Europa fondata invece su valori e principi che mettono in primo piano il dialogo, il confronto, la tutela delle minoranze: ingredienti indispensabili a qualsiasi sistema politico che si fondi su libertà e democrazia.
Infelice è poi la scelta di affiancare le questioni migratorie alla sicurezza. Questo punto politico è stato abbondantemente criticato e sviscerato negli anni scorsi e riproporlo è onestamente un errore facilmente evitabile e foriero di pessime conseguenze sullo sviluppo del dibattito pubblico.
Se il verbo è certamente scorretto, l’espressione «European way of life» richiederebbe forse un maggiore approfondimento. Definire chi sono gli europei, cosa li caratterizzi, quale sia la loro identità non mi sembra infatti affatto una cattiva idea, anzi!
Un individuo che ha difficoltà a definire una propria identità, a riconoscere i propri limiti, viene considerato patologicamente problematico. Perché allora una comunità, com’è l’Europa e, nel caso specifico l’Unione Europea, non dovrebbe riconoscere la propria identità?
Relegare il dibattito politico sull’identità alle derive identitarie e nazionaliste sarebbe una grande occasione persa e una sconfitta politica per chi crede nei valori che fondano, tanto i Trattati europei, quanto molte Costituzioni nazionali, a partire da quella italiana.
Una «European way of life» dovrebbe fondarsi su un’identità plurale e multilivello che ricerca nel passato gli elementi migliori su cui costruire il futuro.
Europea è la sensibilità ecologica, europeo è il welfare stare, europeo è lo stato di diritto, europea sono la laicità dello stato e la tolleranza religiosa, europeo è certamente la difesa di un sistema internazionale multilaterale, fondato su regole che tutelino l’interesse comune e non su continue prove di forza.
L’Unione Europea dovrebbe dotarsi di tutti gli strumenti per consolidare e rilanciare questo modello, al suo interno e all’esterno. Così allora l’istituzione sovranazionale si avvicinerà ancora un po’ al ben più ampio concetto di «Europa».
Parafrasando Bauman, non si è europei perché si è nati in una penisola del continente asiatico, lo si è per la scelta di condividere la propria storia per costruire un cammino comune.
L’Europa non è allora comunità di nascita, ma soprattutto Comunità di destino.
Elementi di questa concezione, e non certo di derive da alcuni definite addirittura fasciste, erano già presenti nel programma politico della presidente Von der Leyen, ma alla luce di quanto accaduto, vanno certamente meglio specificati.
Che da questa discussione sul portfolio di Margaritis Schinas nasca allora un’opportunità. Che si discuta, nel Parlamento europeo, su cosa voglia dire «European way of life», su quali implicazioni politiche saranno conseguenti a tale locuzione.
Che si faccia chiarezza, e, una volta per tutte, che alle parole seguano coerenti fatti.
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