Sul 25 aprile, di nuovi istituti Luce e di manganelli di troppo

Parliamo del 25 aprile, e di come il termine Liberazione sia più che mai attuale oggi

, di Davide Emanuele Iannace, Lucrezia Marconi

Sul 25 aprile, di nuovi istituti Luce e di manganelli di troppo
Produzione della foto originale, a cura di Lucrezia Marconi

Il bello di vivere tempi interessanti è che possiamo scriverne da protagonisti, e farci belli agli occhi del futuro quando giovani annoiati studieranno proprio la nostra epoca e si guarderanno in faccia, ridendo e giudicando silenziosamente tra la noia di una insegnante-IA e di una colonia marziana, o forse gioviana. Sarebbe divertente balzare in avanti e scoprire esattamente come i nostri tempi saranno letti: saranno giudicati un magro spauracchio di quello che fu un vero autoritarismo passato, come una palude in cui ci si incagliò figlia di paura e terrore del futuro, o come i primi anni di un regime tremendo e fascista?

È un esercizio a modo suo divertente, ma a noi interessa per ora molto più il presente. Il presente che staglia, possiamo dirlo, non particolarmente colorato ai nostri occhi. Il 25 aprile è arrivato, come ogni anno, e noi ci troviamo a fare i conti con una situazione politica-sociale che ci deve, purtroppo, far riflettere su quanto succede e quanto sia successo nell’anno passato. Giro di boa, giro di riflessione, insomma.

Il caso Scurati

Procediamo in ordine sparso, un po’ alla volta. Il caso più recente che ha fatto insorgere voci di dissenso dentro e fuori la RAI (che potremmo definire oggi più che mai luminosa, quasi come un altro Istituto nei tempi del bianco e nero, più però nero). Antonio Scurati è un intellettuale ben noto a tutti e tutte, su cui poche introduzioni sono necessarie. Nella trasmissione di Serena Bortone “Chesarà…” del 20 aprile, era previsto un intervento del famoso Premio Strega, un monologo che, avendo avuto modo di leggerlo online, si presentava come un diretto attacco a un Governo che nega il suo antifascismo.

Da un lato si grida alla censura, dall’altro l’Istitu…la RAI parla di un compenso eccessivo (1800 euro per un minuto di intervento) inatteso, che era previsto un intervento gratuito ma che poi lo scrittore avrebbe voluto un gettone presenza – i famosi euri. Ancora qualche pezza è stata messa dal Presidente del Consiglio e da un tentativo di dimostrarsi superiore alla censura, all’acqua che prova a scalfire la roccia, pubblicando ella stessa il monologo di Scurati con toni che, definire un piagnisteo, sarebbe fin troppo poco.

Si susseguono accuse e scuse continue, e la notizia rimbalza ovunque, tra programmi ed editoriali, proprio come ora qui su Eurobull. È un caso che ci fa riflettere. La RAI invita, ben conscia del tipo di personaggio che sta invitando, del calibro dell’intellettuale e anche delle posizioni che esso ha. Spera forse in una piccola, onesta, presa di posizione pro-governativa? O forse, banalmente, i vertici RAI non sanno nemmeno più cosa inventarsi per rendere interessante un palinsesto sempre più vicino al declino totale?

La frittata è comunque fatta, e un monologo in cui del Governo si parla in maniera critica, perché incapace di dirsi antifascista, scompare. Un attacco che, da parte di chi sta scrivendo, sembra pesante solo nel momento in cui accettiamo con orgoglio di avere un Governo pro-fascisti, se non esso stesso fascista. Perché, dopotutto, la nostra Costituzione è antifascista. Ed è bene ricordarselo, giorno dopo giorno.

Quando il Governo di Mussolini è caduto, quello che si è avuto nel Paese che rientra nel termine antifascismo non è stata una proprietà dei comunisti esclusivamente. I partigiani, piuttosto, hanno rappresentato una grande fetta dello schieramento politico: monarchici e repubblicani, comunisti, liberali, socialisti, ex-militari, anarchici. Hanno fatto parte dello schieramento antifascista tutti, anche quelli che fino a poco prima si sarebbero menati un paio di pugni per decidere il futuro della nazione. Perché, se c’era una cosa su cui concordavano, da destra a sinistra, passando per la futura DC, era che qualsiasi Italia fosse sorta subito dopo, sarebbe stata una Italia antifascista. Antifascista nella sua Costituzione, antifascista nei suoi organi, nella sua polizia, nei suoi tribunali, nelle scuole e nelle strade.

Scurati ha totalmente ragione nel suo monologo. Non dichiararsi antifascisti, e quindi fedeli alla Costituzione, di fatto vuol dire assumere la posizione contraria. Forse non sei fascista, ma di certo vuol dire che non li affronteresti, e forse li aiuteresti anche.

La RAI ultimamente è stata scossa da queste venature di controllo statale che vanno oltre il vecchio, classico, scambio di poltrone a cui siamo stati abituati. Le manovre suicide dell’emittente di stato della nostra Repubblica, che perde pezzi importanti uno dopo l’altro, sembrano essere più un piano strategico atto ad eliminare un importante organo di informazione. O almeno, a demolirlo per ricostruirlo a propria immagine.

Ma (non) preoccupatevi, perché non è che solo la RAI sia presa da queste bellissime tendenze autoritarie molto da inizio XX secolo. Abbiamo anche un altro tema che anche ci innalza oscure ombre sul futuro.

Il problema dell’Università italiana

Dall’inizio del nuovo anno accademico all’interno delle università italiane si è visto sorgere un clima di protesta e dissenso progressivamente più forte. Le manifestazioni organizzate e partecipate dagli studenti sono state numerosissime, ma i cambiamenti ottenuti non sono stati altrettanti.

Guardando al contesto romano, diverse organizzazioni studentesche si sono mobilitate per manifestare - sempre pacificamente - il dissenso collettivo rispetto al comportamento dell’università Sapienza su vari temi. Primi tra tutti abbiamo la questione del conflitto in Medio Oriente, con gli accordi mantenuti tra l’università e Israele che gli studenti hanno chiesto venissero sospesi, e la scossa collettiva che ha dato il femminicidio di Giulia Cecchettin, per il quale si è chiesto all’università di fare qualcosa che andasse oltre la solita - inflazionata - panchina rossa.

La Rettrice di Sapienza, Antonella Polimeni, ha però deciso di evitare il confronto e di prendere una strada diversa: quella della repressione e della censura. In diverse occasioni di proteste studentesche in solidarietà al popolo palestinese, attuate in spazi interni all’università, gli studenti hanno subìto violenza da parte della polizia. Manganellate a protestanti pacifici la cui unica richiesta è l’ascolto. Alcune volte il tutto è stato anche documentato da giornalisti, ma recentemente la Rettrice non ha permesso alla stampa di entrare durante questi episodi di repressione violenta, nel tentativo di preservare la buona reputazione dell’università.

Abbiamo avuto la possibilità di parlare con Arianna Guarnera dell’organizzazione Cambiare Rotta Roma che ha raccontato dell’ultima intensa manifestazione del 15 aprile che ha visto due giovani arrestati. Ci racconta: “Noi studenti eravamo in presidio sotto il rettorato, dopo aver fatto un corteo in vista del senato accademico, per portare la nostra voce e le nostre rivendicazioni dopo mesi di mobilitazioni in cui ci siamo scontrati continuamente con il silenzio della nostra Rettrice e della governance Sapienza. Anche sotto al rettorato ci siamo trovati un’enorme militarizzazione dell’ateneo, c’era uno schieramento ingente di Digos lì di fronte. (…) Ci sono stati momenti di tensione, spintonamenti da parte della Digos sugli studenti, anche perché c’erano due nostre compagne che erano incatenate lì davanti e la Digos aveva parcheggiato le macchine lì di fronte per non far vedere il tutto, c’erano anche delle transenne”.

La mobilitazione si è poi spostata verso il commissariato di San Lorenzo, dopo la notizia che un loro compagno era stato arrestato dalla polizia. Lì inizia lo scontro più forte. “Una violenza inaudita verso studenti con le braccia alzate, totalmente inermi (…) quello che vogliamo dire è che l’ambiente antidemocratico lo sta creando la nostra rettrice, non accettando da sei mesi di parlare, di ascoltare le voci degli studenti della Sapienza” prosegue Guarnera.

Quello che vogliamo fare è semplicemente vivere in un’università che non sia complice di un genocidio, che non sia complice con le aziende italiane produttrici di armi, che fomentano i conflitti in tutto il mondo”. È l’appello delle studentesse e degli studenti di cui Cambiare Rotta Roma si fa portavoce, ripreso anche nella conferenza stampa - circondata dalla Digos - indetta degli studenti davanti al rettorato di Sapienza il 17 aprile. Qui, uno studente legge l’appello ufficiale dello sciopero della fame (oggi all’ottavo giorno) inaugurato la mattina stessa, incatenati sotto al rettorato dell’ateneo; si esorta a una protesta non violenta e una presa di posizione netta, da parte di tutti.

Il dissenso è sano e va coltivato nelle università, e gli studenti ne sono portavoce. Patrick Zaki è uno dei suoi simboli, e ne ha parlato anche il 15 aprile in una discussione in Senato su “La Tutela del Diritto al Dissenso”, con l’attivista Flavia Carlin.

Nel corso del suo intervento, Carlini commenta l’impatto delle manifestazioni popolari, sottolineando come manifestare sia importante in quanto chi si trova al potere lo è grazie al consenso, a sua volta ottenuto tramite il voto per cui si è lottato e che proprio nel 25 aprile trova la sua data di consacrazione. Per questo motivo, nessun potere politico dovrebbe sopravvivere senza il consenso di quel volere popolare che potrebbe decretarne la fine alla prossima elezione.

Patrick Zaki stesso, per primo, ha parlato di quanto il momento chiave della sua liberazione sia stato quando le Istituzioni hanno cominciato a parlare della sua storia. Istituzioni mobilitate però da quelle voci popolari e studentesche che, in solidarietà, hanno spinto perché la sua storia non venisse ignorata. La pressione popolare ha cambiato la sorte, possiamo dirlo con certezza visto quanto successo già in passato con Giulio Regeni, dell’attivista, partendo da una pressione dal basso. Si tratta di una “fortuna” di cui l’attivista è ben consapevole, e ha infatti ribadito più volte quanto la sua situazione non fosse speciale se comparata ad altri prigionieri che si ritrovavano con lui nel medesimo carcere e che avevano come colpa solo l’espressione del proprio dissenso politico verso il regime egiziano. Il suo libro, afferma proprio Patrick Zaki, è un testamento per tutti loro, perché non siano dimenticati e perché tutti si ricordino che il rischio di quell’approccio, della prigionia politica, si cela sempre dietro l’angolo.

Concludendo

Che sia la RAI, o che sia La Sapienza, il potere sembra aver preso gusto nel suo esercizio tramite il manganello, che sia metaforico - la censura di Scurati, ma anche di Terranova e di Guerra - che fisico, come nel caso degli studenti Sapienza ma anche di altre città italiane. Un potere che si regge sul manganello è esattamente tutto quello che non volevamo rivedere a quasi otto decenni dalla fine della Seconda guerra mondiale. È tutto ciò per cui i partigiani, di ogni colore politico, hanno lottato.

Un Paese libero dalla paura e dal terrore di dire la propria e ritrovarsi uomini in nero pronti a sfondare la porta di casa e farci sparire nella notte. Il 25 Aprile è, più che una semplice festa, una torcia, un memoriale. Ci ricorda che ci sono cose per cui vale la pena battersi, con tutti gli strumenti della democrazia a nostra disposizione, a iniziare dal voto. Abbiamo creato, dalle ceneri del Secondo conflitto mondiale, un mondo che speravamo fosse libero dai totalitarismi che hanno funestato in Europa tutta la prima metà del XX secolo e che, nel mondo, non sono finiti nemmeno con l’incubo dell’atomica.

Ricordarci il 25 aprile vuol dire ricordarci perché uno Scurati ha il diritto, e il dovere, di parlare in televisione, sulla principale emittente televisiva. Perché scrittrici come Nadia Terranova e Jennifer Guerra hanno il diritto e il dovere di poter esprimere il proprio monologo liberamente. Ci ricorda che se degli studenti protestano, si può non concordare, ma il tuo non concordare non diventerà mai il manganello, l’opposizione violenta, la censura del loro libero pensiero di intellettuali. Un Governo, e un sistema di autorità che vanno dai rettori ai prefetti, che decide che l’unica reazione possibile è quella del silenzio imposto, sono al di fuori di ogni garanzia costituzionale e di ogni grazia democratica. Questo va detto, ripetuto, e gridato.

L’Unione europea, perché qui parliamo sempre di Unione europea alla fine, sta vivendo giorni bui, in cui all’arrivo delle elezioni europee stanno accompagnando fenomeni politici - sia interni che esterni - che ci fanno tremare un po’, e temere che il futuro disegnato dai padri costituenti italiani ed europei non per forza sia roseo come, ottimisticamente ed illuministicamente, potremmo sperare. C’è bisogno di un controllo dal basso, da parte dei cittadini, uniti al di là delle proprie differenze politiche, nel garantire che il grande gioco della democrazia regga alla prova del tempo e dello spazio, delle pressioni esterne e di quelle di attori interessati a rendere il sistema democratico il proprio spazio di guadagno personale.

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