RESILIENZA EUROPEA: Potenziare o ricostruire?

, di Davide Emanuele Iannace

RESILIENZA EUROPEA: Potenziare o ricostruire?

Il concetto di resilienza è di per sé interessante. È spesso usato, in particolare negli studi urbani e politici, indicando una capacità non solo di resistere ma anche di rispondere positivamente a una serie di shock che possono essere sia naturali, che sociali ed economici.

È una parola che è stata alla base di non poche politiche nazionali e locali finanziate, ad esempio, da enti quali la “Rockefeller Foundation” con un programma definito “100 Resilient Cities”. Un esempio tra i tanti che è utile per capire quanto questo termine sia divenuto in qualche modo spendibile nella ricerca accademica e giornalistica. Lo useremo anche noi per parlare della resilienza europea.

Che cosa vogliamo intendere con resilienza europea? Vogliamo intendere con questo termine la capacità di questa entità che definiamo come “Unione Europea” di riprendersi da quelli che sono effettivamente shock di carattere economico (come la crisi del 2008) ma anche sociali e culturali (gli sconvolgimenti dovuti all’insorgere dei partiti di estrema destra e la risposta alla minaccia del terrorismo islamico). Sono fenomeni che hanno attraversato l’Europa nel corso degli scorsi dieci anni. Proprio per questo potremmo dire che effettivamente l’Unione Europea è un organo che ha saputo sviluppare una sua resilienza, che in questo caso sta avendo effetti gravi, ma pur sempre una resilienza.

Se guardiamo al processo storico, nel 2008 la crisi è riuscita a dimostrare tutta la fragilità di sistemi incompleti e a metà, come la moneta unica e la Banca Centrale Europea. Lentezza decisionale e processuale e la presenza di forti interessi nazionali ha portato il sistema a mostrare tutte le sue crepe pubblicamente. Nonostante ciò, il sistema Unione è andato avanti, cercando di resistere a tutta una serie di shock esogeni ed endogeni che l’hanno colpita senza, di fatto, modificare la propria struttura in maniera radicale ma sempre rifacendosi agli stessi strumenti a sua disposizione.

Mancanza di possibilità politica? Mancanza d’intraprendenza da parte degli attori europei? Semplice lentezza? Sono molte le teorie, forse anche troppe. Troppe idee su quella che è, di fatto, un’istituzione incompleta ma a buon punto, solida abbastanza da resistere ad urti e ingerenze straniere, ma non abbastanza da rispondere. Passiva e resistente, almeno fino ad ora, all’alba di nuove elezioni europee che dimostreranno quanto realmente forti, sono le correnti ultra-nazionalistiche in movimento nel sub-strato culturale e sociale del continente. Un campo di prova, dizione ripetuta più volte nel corso degli ultimi mesi da parte di attori protagonisti e di commentatori.

L’Europa possiede una sua resilienza di fatto. Questa resilienza, lenta, capace di farne mantenere le forme essenziali, ne potrebbe essere la causa del fallimento. Se la vediamo come una gara di resistenza, una maratona, il problema dell’Europa è che sta finendo il fiato. Per quanto possa provare a fare micro-cambiamenti senza modificare però la sua essenza, la sua struttura di base, senza adottare strategie a lunga durata che puntino alla creazione di un sistema divenuto, non in perenne divenire, rischia di restare un gigante immobile in un tempo di dinamismo.

I fatti storici dimostrano che la velocità di reazione agli eventi, di diverso carattere, è necessaria per evitare non la sconfitta, ma l’estinzione di idee, modelli e modi di agire. L’Europa, l’Unione, è stata di per sé un esperimento che può essere giudicato in varie maniere e che ha un carattere di unicità. Questo la rende meritevole ma allo stesso impedisce di trovare, nel passato, elementi di comparazione. Non avendo maestri, in questo caso si procede a tentoni nella grande foresta del futuro.

Forse, però, l’adagiarsi alle strutture del passato può essere non un motivo di forza ma piuttosto di debolezza, di incapacità di crescere e reagire ad un mondo che si fa sempre più grande ed allo stesso tempo piccolo. Mentre i confini della biosfera terrestre vengono sorpassati da tecnologie sempre più avanzate, i continenti si fanno più vicini, le economie più interrelate, le società più miste.

Per restare al passo con questo mondo istituzioni come l’Unione Europea hanno bisogno di ristrutturarsi in maniera globale. Non ci si può limitare a micro-ristrutturazioni, a delle piccole rifiniture. C’è bisogno in realtà di una grande ricostruzione dell’Unione, in un’ottica chiaramente federalista.

Le nazioni europee non possono fare l’una a meno delle altre ma un mondo di accordi inter-governativi, di consigli e concili, non può che far più danni di quanti benefici crea. I tempi lunghi, con le continue diatribe politiche ed economiche tra nazioni europee sono alcuni degli effetti malefici di un’unione in essere ma incompleta. La crisi ha messo in mostra, più che mai, le crepe e le debolezze dell’Europa. La sua resilienza l’ha fatta sopravvivere ma, dopo le ultime elezioni, diventa più che mai essenziale pensare a un futuro europeo.

La resilienza non può essere la scusa di chi vuole bloccare il processo europeo per definire l’Unione “qualcosa che funziona”. Ha sicuramente garantito il progresso europeo fino al momento presente, la possibilità di eliminare barriere per persone e merci per i paesi del continente, una moneta e banca centrale unica.

Non può bastare più però. L’evoluzione va completata con dei passi decisi, rivoluzionari nel senso più puro del termine. Il federalismo è la via per garantire all’Europa un futuro unito, pacifico, ma soprattutto che sia di progresso per tutti i suoi abitanti. Ogni passo indietro, compreso il restare immobile, non farà che peggiorare una situazione di per sé già difficile. Mentre il mondo procede avanti, restare indietro non è sensato.

I passi in avanti possibili sono tanti, come il voler garantire un parlamento europeo davvero legislativo, che possa diventare in tal modo non solo rappresentazione dei cittadini europei ma vera espressione politica del mandato popolare. È uno tra i tanti che, si spera, il risultato di queste elezioni possano mettere in moto. Non è solo un passo per la democrazia e per la pace in Europa, ma è un passo necessario per un futuro migliore.

Fonte immagine: Pxhere.

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