Restrizioni sui PFAS: mai dire mai

, di Jean Schubeck, Trad. di Stefania Ledda

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Restrizioni sui PFAS: mai dire mai
Fonte immagine: città di Mahalaxmi, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/license...> , via Wikimedia Commons.

L’applicazione di restrizioni ai PFAS (sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate) è il tema del dibattito sul più ampio divieto di qualsiasi gruppo chimico mai avvenuto. Nonostante conosciamo e ci preoccupiamo di materiali come la microplastica, la discussione riguardo i PFAS è piuttosto nuova nell’agenda dei media. Per la chimica, queste sostanze equivalgono ai rifiuti nucleari, di cui è impossibile disfarsi o reciclare, oltre a essere resistenti e responsabili di gravi danni organici. Un report del canale YouTube Strg-F si è occupato di investigare su una struttura produttiva in Germania nella cui zona la donazione di sangue è proibita alla popolazione che la abita. Questo avviene per validi motivi, dato che i livelli di contaminazione dell’ambiente intorno allo stabilimento sono così alti da superare quelli di minima allerta. Esservi esposti può causare il cancro, interferire con il sistema ormonale e potrebbe creare problemi a quello riproduttivo.

Che cosa rende il ban così speciale?

In Unione Europea è proibito un grande numero di sostanze chimiche e a rendere ciò possibile - a livello europeo - è il regolamento della registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche (REACH) attuato sin dal 2007. Inoltre, è proprio l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) a gestire le procedure disposte attraverso il REACH e, tra le altre cose, la proposta di restrizione dei PFAS. L’applicazione di rigide restrizioni all’utilizzo di sostanze chimiche è normale nell’Unione Europea; ma è raro che ciò avvenga per un’intera classe di composti chimici, come richiesto all’ECHA da parte delle agenzie per l’ambiente e la salute di Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, specialmente quando la classe è formata da migliaia di composti: infatti, la proposta ne stima 10.000. Se la proposta fosse approvata, si tratterebbe del divieto più esteso mai applicato. Ed è ancora più interessante il fatto che il ban non è riferito a chissà quale strana classe di sostanze: dai PFAS siamo circondati. Le vostre scarpe sono rivestite con essi, così come la vostra giacca, il bicchiere del vostro caffè da portar via - che sarebbe solamente carta bagnata senza questi composti - e, ancora, la padella che usate per cucinare le uova, i componenti elettronici del vostro computer e le apparecchiature mediche negli ospedali. In breve, quasi tutto.

Chi ha presentato la proposta ha invitato a notare che i PFAS da soli sono incredibilmente utili in quanto durano molto a lungo in condizioni estreme. Infatti, le loro proprietà di isolamento termico ed elettrico, oltre alle proprietà non adesive, li rendono indispensabili in numerosi campi industriali. I responsabili di queste loro qualità sono i legami carbonio-fluoro, annoverati tra i più resistenti legami chimici conosciuti. Nonostante la sua utilità, la durevolezza di queste sostanze ne determina però una difficile scomposizione, facendo sì che restino nell’ambiente per sempre, o quasi, e inquinando le falde acquifere, e altro ancora. La loro resistenza in natura significa anche che la contaminazione da essi provocata aumenta nel tempo e si sta verificando già adesso, dai pinguini nell’Oceano Antartico all’acqua piovana del Tibet.

Perché un ban totale?

Alcuni gruppi di PFAS sono già regolamentati e non solo nell’UE. E nonostante gli sforzi fatti per ridurre la concentrazione di queste sostanze nell’ambiente, come illustrato nel documentario “The Devil We know”, questi falliscono: la fuoriuscita di liquidi industriali sembra essere usuale ma i tentativi di pulizia sono di solito inutili. Quando una particolare sostanza si scopre essere nociva e viene bannata, essa viene sostituita da una sostanza simile scelta dal gruppo dei PFAS. Mentre sinora le quantità di PFAS nel corpo umano sono state inferiori rispetto a quelle considerate problematiche, adesso si può capire facilmente come ciò cambierà a causa del loro continuo rilascio. Nel dibattito ancora in corso, il settore industriale ha suggerito che i problemi causati dal versamento di liquidi in natura sono gestibili, ma quelle che si suppone siano le misure per risolverli non sono state stabilite né considerate realistiche. Quindi, anche se la contaminazione ambientale diretta provocata da incidenti e stabilimenti produttivi fosse sotto controllo, i PFAS continuerebbero a diffondersi nell’ambiente attraverso le abrasioni subite dai prodotti da essi derivanti e utilizzati quotidianamente o quando questi prodotti finiranno inevitabilmente nelle discariche al termine del loro ciclo di vita. Visto che tali sostanze sono così resistenti, la loro quantità totale presente nell’ambiente aumenterà ineluttabilmente. Per cui, nonostante il ban di un’intera classe di composti chimici tanto importante quanto quella dei PFAS possa sembrare una decisione drastica, esiste una ragione dietro ciò: se si guarda più da vicino, il divieto non è così severo come si dice, anzi, contiene le eccezioni richieste dal settore industriale.

Quello che i media hanno soprannominato il “ban eterno” - poiché i PFAS sono anche chiamati forever chemicals - è in realtà un divieto con deroghe temporali che cambiano in base all’uso specifico che se ne fa. In altre parole, sono una serie di eccezioni valide solamente per quelle industrie che non hanno ancora trovato un’alternativa ai PFAS o che non ne avranno nell’immediato futuro. Sulla base della valutazione della proposta, per i casi in cui non sono ancora state individuate delle alternative l’eccezione durerà 5 o 12 anni. In alcuni casi, come in ambito sanitario e in quello militare, vengono suggerite deroghe a tempo indeterminato.

L’ultimo contrattacco

Il 22 marzo scorso è cominciata la consultazione pubblica, che durerà 6 mesi ed è aperta a chiunque voglia consegnare delle prove in merito a un caso specifico. Successivamente, avverrà una procedura di comitatologia [1] con scrutinio. Si tratta di una procedura legislativa che formalmente non esiste più ma che viene ancora utilizzata in quanto riportata su più di 300 atti legali, tra i quali la REACH. Questo significa che, in seguito alla consultazione pubblica e all’adozione delle opinioni da parte di due comitati consultivi, alla Commissione Europea saranno dati tre mesi di tempo per abbozzare un emendamento per l’Allegato XVII della REACH, la quale elenca le sostanze proibite e quelle il cui utilizzo è limitato. Sia il Consiglio che il Parlamento Europeo possono porvi un veto, ma non hanno voce in capitolo.

Nei prossimi mesi, il settore industriale si riunirà per trovare le falle nella proposta e per consegnare le prove che dimostrano che l’utilizzo di ognuna di queste sostanze dovrebbe essere loro derogato. Dopotutto, alcuni settori non possono funzionare senza composti chimici e non si vedono alternative possibili. Inoltre, toccherà alle parti coinvolte nel processo stabilire come la prova vada interpretata e qualsiasi sia l’esito della proposta finale, esso ridurrà ampiamente la contaminazione nei decenni a venire. Se la procedura rispetterà i ritmi tradizionali, ci si può aspettare un emendamento entro la fine del 2024 sebbene sia improbabile.

Note

[1la comitatologia è una serie di procedure con cui i Paesi dell’UE possono esprimere la loro opinione sugli atti di esecuzione

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