Riflettere sulla deriva continentale. Un’intervista a Thierry Vissol

, di FISE

 Riflettere sulla deriva continentale. Un'intervista a Thierry Vissol

Thierry Vissol è uno storico ed economista mondiale di origine francese, ma che ha passato gran parte della sua vita in giro per l’Europa. Funzionario della Commissione Europea dal 1980 al 2016, è stato tra i fautori del passaggio alla moneta unica. Può inoltre vantare una lunga carriera accademica in vari atenei occidentali e numerose collaborazioni con prestigiose testate. Creatore e animatore di numerosi think tank, negli ultimi anni si è dedicato alla promozione e alla salvaguardia della libertà d’espressione tramite il centro LIBREXPRESSION da lui presieduto. Nel 2014 decise di raccontare il suo punto di vista sull’Ue nel saggio, edito da Donzelli, “E’ tutta colpa dell’Europa”, nel quale smascherava i classici luoghi comuni che interlocutori euroscettici sono soliti propinare. Cinque anni dopo torna sul ‘luogo del delitto’ con la sua nuova fatica “Europa matrigna. Sovranità, identità, economie”, sempre per Donzelli editore, uscito martedì 16 aprile in libreria. La redazione di FISE ha intercettato Vissol che si è concesso per una lunga chiacchierata nella quale ci ha confessato le sue preoccupazioni (molte) e le sue speranze (poche) sul futuro dell’Europa.

Cosa l’ha spinta, a 5 anni da “E’ tutta colpa dell’Europa”, a tornare sul tema della percezione dell’Unione Europea? Cos’è cambiato in questo lasso di tempo?

Siccome sono stato per 36 anni funzionario dell’Unione Europea e molto coinvolto nella costruzione dell’Euro, all’Europa ci tengo e avendo vissuto in vari paesi comunitari negli ultimi 40 anni mi sento un cittadino europeo.

Nel precedente libro spiegavo il funzionamento dell’UE partendo dalla definizione di euroscetticismo come mancanza di memoria, complessità e confusione; ho provato a semplificare l’analisi per scagionare l’UE dalle accuse infondate.

Questa volta mi sono basato sulle due controversie più scottanti: il controllo del flusso dell’immigrazione e la situazione economica. Mi sono concentrato poi sui termini identità e sovranità, distinguendo tra sovranità interna ed esterna, cercando di confutare i ragionamenti che additano i migranti e la moneta unica come minacce alla nostra identità.  

Nella scheda introduttiva al suo libro è riportato come a lei siano ben chiari i limiti dell’Ue. Quali sono per lei i più gravi? Quali le ipotetiche soluzioni?

Il problema più grave è l’eccessivo potere del Consiglio Europeo a scapito del Parlamento e della Commissione. Questo ostacola accordi con una visione globale dei problemi sul tavolo, favorendo invece interessi particolari dei vari stati nazionali. Anche se il Parlamento poco a poco, con le varie modifiche nei trattati, ha acquisito un po’ di potere decisionale, non ha ancora poteri reali sui temi più scottanti. Per esempio sul bilancio il Parlamento non ha la possibilità di modificare l’ammontante, può solo intervenire a margine sulla ripartizione dei fondi disponibili. Quindi è un po’ una barzelletta dire che il Parlamento ha poteri di decisione o di co-decisione. Lo ha in certi casi, come le direttive, anche se anche la c’è sempre una navetta e il Consiglio ha l’ultima parola.

Inoltre tutti i grandi temi usati da chi accusa l’Unione Europea sono esclusi dai campi del Trattato di Lisbona e quindi accusare l’UE di non fare le cose è accusare l’Unione di rispettare il Trattato. Per esempio le tasse continuano ad essere pagate agli stati nazionali. Sarebbe meglio se ci fosse un legame fiscale diretto tra l’UE e i cittadini.

I cittadini non conoscono gli stanziamenti per i fondi strutturali, pensando che quei soldi vengano dati dai loro stati di provenienza, che hanno tutto l’interesse di far credere di averli stanziati loro.

Questi problemi saranno difficili da risolvere perché per farlo bisognerebbe produrre una modifica dei Trattati che sarebbe una cosa complessa, anche se l’art. 48 del Trattato che permette di farlo in modo quasi semplice, perché non c’è la volontà politica. Tutti vogliono conservare il loro potere per far credere ai cittadini che decidono loro, quando la gran parte delle decisioni sono imposte da vincoli esterni.

Lei denuncia spesso la mancanza di memoria dei cittadini europei. La nostra piccola redazione universitaria nasce per ovviare alla cronica carenza d’informazione negli atenei italiani sulla storia e il funzionamento dell’Unione. Questa carenza è comune in tutta Europa? A che è dovuta principalmente? A una mancanza nei programmi scolastici? A una scarsa attenzione mediatica?

A tutte queste cose. La scarsa conoscenza sull’Unione Europea è più o meno comune a tutte le latitudini.

Nelle scuole e nelle università non c’è educazione. E’ inquietante vedere che nelle 12 o 13 scuole di giornalismo in Italia non ci sia un corso strutturato sulle istituzioni e sulle dinamiche europee, ma solo conferenze o qualche corso di formazione una tantum.

Da parte della politica c’è una mancanza totale. E’ stupefacente pensare che nella campagna elettorale delle elezioni europee la discussione non sarà sull’UE ma su argomenti locali.

Di più, l’Italia ha un problema enorme di demografia, il tasso di fertilità e dell’ 1,27 % quando sarebbe necessario un 2-2,1%, già l’anno prossimo ci saranno 70.000 studenti in meno nelle scuole, mentre il 20 % della popolazione è over 65 e tra venti anni lo sarà il 35%. Questo causerà enormi problemi di finanziamento delle pensioni, del sistema sociale e della salute. Ma di questo non se ne parla, al contrario quelli che sono al governo vogliono spendere di più in pensioni. E se l’Europa lo dice allora si accusa l’Europa di essere contro il popolo.

Questa cecità, questo sonnambulismo dei politici sono drammatici, ci stanno portando sull’orlo del baratro.

C’è una grande competizione tra i tre grandi imperi, la Cina, gli USA e la Russia, e tra poco ci sarà anche l’India, mentre l’Africa sta vivendo un boom demografico galoppante. Noi non siamo in grado di unirci per avere una visone geopolitica comune per provare a non essere dimenticati dalla storia. Anche in questo la cecità è assoluta. Sembra che facciamo la politica dello struzzo, mettiamo la testa sotto terra per non vedere i grandi problemi come il clima e i flussi d’immigrazione, che nei prossimi decenni saranno molto più cospicui di quanto non siano ora, problemi che vanno ben al di la delle frontiere. C’è un piano che propone l’Europarlamento che dovrebbe essere discusso nella prossima legislatura per spendere 50 miliardi in 7 anni per l’Africa, che diviso per quasi un miliardo di africani fa non più di 70 centesimi a testa. E’ ridicolo, pensando al confronto con la Cina, che con le Vie della Seta, in un anno spende duemila miliardi. Siamo completamente fuori. Per di più noi vendiamo armi a quelli che fanno la guerra, quindi in parte siamo anche responsabili dei conflitti che provocano dei flussi migratori. Davanti tutto questo rimango senza parole.

Ovviamente c’è anche un grande problema nell’informazione. L’informazione passa adesso tramite i social network, tramite i tweet e gli slogan che rendono coloro che tentano di spiegare incapaci di reagire contro questi messaggi troppo brevi che non permettono una riflessione intorno a un problema. L’estinzione dei partiti politici e dei sindacati che facevano formazione ha acuito il problema. Anche tramite i social che veicolano menzogne e complotti la verità è diventata molto relativa e non si ha più fiducia negli specialisti e negli intellettuali. Certo anche loro possono fare errori, come tutti. Ma il popolo non ha sempre ragione, soprattutto quando non sa e non vuole sapere perché non gli interessa.

I media non giocano realmente il ruolo che dovrebbero giocare. Vanno a fare del surf sulle informazioni che passano sui social, fanno più cronaca, passano per 24 ore su 24 quando c’è un attentato tantissime informazioni, che non è neanche informazioni, sono stupidaggini, e tutto ciò fa paura alla gente invece di informarla sulla verità delle cose. Quindi c’è una grande responsabilità dei media. Questo è normale perché la proprietà dei media adesso è quella del grande capitale, non è più degli imprenditori che sapevano cosa fosse un giornale e l’informazione. Non c’è più competizione per fare inchieste, non ci sono più soldi. Si pensi alla Rai che non manda più giornalisti in giro, lasciandoli in ufficio a leggere le agenzie. Così non si può fare informazione.

E’ noto come il senso di appartenenza europea sia piuttosto comune nei ceti riflessivi più abbienti, che hanno avuto l’opportunità di fare un lungo percorso di studi e di viaggiare spesso negli Stati membri, magari partecipando anche ad iniziative come l’Erasmus. Mentre gli strati più popolari delle nostre nazioni non riescono a cogliere particolari benefici nell’essere all’interno dell’Unione e percepiscono tutti questi discorsi come lontani dalla loro quotidianità. Come è possibile coinvolgere anche loro in un processo di integrazione europea?

La cesura non è tra città e campagna e ricchi e non ricchi, ma tra coloro che sono coscienti del movimento del mondo e provano ad adattarsi a questo e coloro che non sono integrati, che hanno difficoltà ad integrarsi e che si ritrovano al margine. Questo è aumentato dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale che sta distruggendo e distruggerà sempre di più il lavoro al quale siamo abituati. Anche questo è un tema importantissimo di cui nessun politico vuol parlare. Questa è una grande differenza tra noi e cinesi. Si può criticare tantissimo, e io lo critico, il modello politico cinese che è una dittatura con un’estrema sorveglianza dei cittadini. Ma loro hanno una visione strategica e geopolitica a lungo termine. Noi no. Noi vediamo solo ciò che è sotto i nostri piedi.

Lo scorso 22 gennaio il Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron e la Cancelliera tedesca Angela Merkel hanno sottoscritto il Trattato d’Aquisgrana che sancisce un’unione tra i due paesi riguardante tutti i settori strategici. Legge questi accordi come un passo in avanti per l’Ue o come un suo superamento de facto da parte dell’asse franco tedesco?

L’Ue è nata dall’ unione franco-tedesca e senza si loro non ci sarebbe stata. Per di più sono i due paesi più grandi dell’Unione con una popolazione di 150 milioni, cioè più del terzo della popolazione, e a livello economico sono i più forti; la Francia ha la bomba atomica. Se questi due paesi non si accordano niente è possibile in Europa. Quindi se Francia e Germania rinforzano la loro collaborazione non è per prendere il potere sull’UE è per farla funzionare.

Lei lo vede come inizio di un’Europa a due velocità?

Io ho scritto un libro sull’ allargamento dell’Unione, essendo al tempo molto favorevole.

Purtroppo le democrazie de paesi dell’Est non erano pronte ad assicurare una partecipazione all’Unione Europea che non fosse esclusivamente economica. Per di più sono spuntati tanti problemi con i nazionalismi nati in reazione alla dominazione russa. E poi ci sono altri paesi che effettivamente non vogliono andare avanti.

Quindi secondo me, e anche qui la relazione franco-tedesca può giocare un ruolo molto importante, sarebbe bene che coloro che vogliono andare avanti un po’ più rapidamente si mettano insieme per farlo. Gli altri possono essere integrati nella realizzazione doganale e sul mercato unico senza partecipare all’evoluzione politica necessaria per andare avanti.

Non la chiamerei Europa a due velocità, piuttosto un’Europa dove alcuni hanno più fretta di altri. Essendo comunque tutti uniti da un’istituzione europea.

Come legge i risultati in Slovacchia?

Non è una cattiva notizia, anche se bisogna ricordare che il presidente slovacco ha poteri un po’ come quello italiano: è il governo che decide, non è il Presidente della Repubblica.

Certo, renderà le cose più complesse al gruppo di Visegrad. Ma il gruppo di Visegrad sono soprattutto la Polonia e l’Ungheria, che sono due paesi importanti, due paesi illiberali, due paesi con delle visioni molto vecchie su tanti problemi…

Due paesi che hanno avuto benefici molto importanti dai fondi strutturali europei.

E continuano ad averne tantissimi (ride). Questo è un pardosso.

Nell’idea che ho di un Europa dove alcuni vanno più avanti in termini politici non è un Europa che escluderebbe questi paesi. No, al contrario. Dovrebbe continuarli ad integrali a livello economico, a livello sociale, ma, soprattutto, a difendere i valori della democrazia che sono in grande pericolo in questi paesi. Ho chiamato questo fenomeno nel libro un ratto costituzionale (Constitutional capture): arriva al potere democraticamente un governo illiberale, con una grande maggioranza in Parlamento in grado di modificare lo stato di diritto tramite legislazioni. Con uno sistema democratico si può costruire una forma di regime, dove i contrappesi, che sono la caratteristica delle democrazie occidentali, sono più o meno distrutti o incapaci di reagire, non permettendo più alle opposizioni di arrivare al potere.

Secondo lei come va a finire tra Orban e PPE?

Per il momento hanno solo tolto al partito di Orban temporaneamente il diritto di voto nel PPE. Non li vogliono mettere fuori per non perdere una discreta quantità di deputati che mettere a rischio il loro potere in Parlamento.

Noi europei abbiamo perso molta credibilità in termini di difesa dei nostri valori. L’abbiamo persa anche con le politiche sull’immigrazione. Nell’articolo 1 della Carta dei Diritti fondamentali c’è la difesa della dignità umana. Il modo in cui stiamo trattando i migranti tradisce questo principio. Non stiamo perdendo solo a livello economico e geopolitico, ma anche a livello morale. Poco a poco i paesi europei stanno diventando marginali. Forse è la fine dell’Europa.

Grazie per questo tempo che ci ha concesso. Un’ultima domanda. Come vede la situazione politica in Francia.

Come ti dicevo all’inizio non vivo più in Francia da quarant’anni e quindi vedo le cose da fuori. E da fuori vedo un paese in grande difficoltà, con un vento nazionalsovranista che tira forte nonostante la Francia rimanga uno dei paesi con più tutele sociali. L’altro giorno leggevo un’inchiesta su Le Monde che riportava tassi molto elevati di anti europeismo soprattutto tra gli elettori dei partiti estremisti, sia di destra che di sinistra. E’ probabile che questi partiti estremisti, se non la maggioranza, abbiano un grande affermazione alle prossime elezioni.

Come vedi sono molto pessimista sul futuro. Speriamo che la vostra generazione riesca a raccontare l’Europa meglio di quanto non siamo riusciti a farlo noi.

Speriamo di riuscire a farlo. Grazie per l’augurio. Buon lavoro e in bocca al lupo per il libro.

Crepi.

Fonte immagine: Donzelli.

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