La consapevolezza che ciascun cittadino europeo appartiene ad una grande comunità continentale, oltre che ad una comunità statale e tante comunità locali, si sta indebolendo. La promessa dell’Unione Europea, attraverso la condivisione della sovranità, di fornire in modo più efficiente alcuni beni pubblici necessari alla sopravvivenza ed alla crescita dei cittadini europei si è arenata nelle risposte intergovernative alla crisi economica, in sistemi di regole che non lasciano spazio alla formazione di un consenso politico democratico, negli interminabili vertici dei Capi di Stato e di Governo alla ricerca di un compromesso per far prevalere i propri interessi nazionali (o meglio, dei singoli governi) piuttosto che un interesse europeo. E così, l’Europa conta sempre meno nel mondo; e i cittadini sono costretti a guardare indietro, al modello dello Stato nazionale, per cercare risposte ai propri bisogni. Risposte che, in un sistema fortemente interdipendente, è impossibile trovare nel quadro della cornice giuridica e politica nazionale; ma che è altrettanto impossibile trovare nel quadro di una cornice giuridica e politica sovranazionale (europea) che è ancora in gran parte da costruire.
Il bilancio, ossia come i soldi dei cittadini e delle imprese vengono prelevati e spesi, è la forma più concreta di una identità collettiva. Riformare la natura, la composizione, la dimensione e il sistema decisionale che regolano il bilancio europeo è una delle sfide oggi più importanti per rilanciare in modo concreto il processo d’integrazione, riavvicinando la UE ai cittadini.
Come riformare il bilancio europeo?
Qui di seguito, elenco quelli che ritengo i punti minimi fondamentali di una riforma seria e profonda del bilancio europeo.
Primo, abbandonare progressivamente i contributi su base nazionale (che generano l’idea perversa del juste retour, come se i benefici dell’appartenenza alla UE si potessero conteggiare su un libro contabile, come ha erroneamente pensato di poter fare la Gran Bretagna), aumentando il ricorso a risorse proprie (ad esempio con una tassa sulle emissioni di carbonio, sulle transazioni finanziarie, ma anche sui profitti delle grandi corporations, etc).
Secondo, accrescere la dimensione del bilancio europeo, da meno dell’1% del PIL ad almeno il 3% del PIL europeo, con competenze nuove in merito alla fornitura di beni pubblici (europei) volti alla crescita: investimenti mirati in energie alternative, infrastrutture di comunicazione e trasporto, ricerca e innovazione tecnologica, un fondo di stabilizzazione contro gli shock asimmetrici e nuovi ammortizzatori sociali europei (in rapporto sinergico con quelli nazionali), etc. Terzo, modificare il sistema decisionale in modo da consentire la formazione di una volontà collettiva non sottoposta al veto di alcuno dei paesi membri.
Cogliere l’occasione per riformare il bilancio
Le discussioni sul prossimo quadro finanziario pluriennale e le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, che darà vita anche a nuovi assetti di potere nella Commissione, sono l’occasione per una discussione ampia e partecipata sulla riforma del bilancio europeo. È una delle poche strade rimaste per ridare slancio ed accrescere il consenso verso un percorso di integrazione che langue ormai da troppo tempo.
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