Sui poteri impliciti delle istituzioni federali: il caso della BCE

, di Antonio Longo

Sui poteri impliciti delle istituzioni federali: il caso della BCE

Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough (discorso di Mario Draghi del 26 luglio 2012 a Londra).

La natura politica del nostro mandato ha alcune implicazioni essenziali: non abbiamo la libertà di decidere se dobbiamo fare ciò che è necessario fare per assolvere il nostro mandato. È nostro dovere farlo. Rassegnarsi a venirvi meno non è un’opzione accettabile se abbiamo gli strumenti per adempiere alle nostre responsabilità (discorso di Mario Draghi dell’11 ottobre 2019 a Milano).

Mario Draghi è entrato nella storia del processo di unificazione anche per via di quella famosa frase pronunciata alla Global Investment Conference tenutasi a Londra il 26 luglio 2012.

Il messaggio che volle lanciare (la BCE è pronta a fare qualsiasi cosa sarà necessaria per salvare l’euro) fu letto da tutto il mondo politico e finanziario come una manifestazione di grande “coraggio”. Cosa indubbiamente vera, ma non sufficiente, se prima non letta come esito dell’analisi e dell’azione concreta che la BCE intendeva promuovere per arrestare una crisi che – in quel frangente - poteva far saltare l’euro.

Nel discorso di Londra è contenuto, in modo esplicito, il ragionamento che portò Draghi a quella famosa conclusione, come pure la giustificazione teorica che stava alla base dell’azione che intendeva intraprendere.

Quel filo di ragionamento è riemerso, in modo altrettanto esplicito, ma più articolato, nel discorso pronunciato l’11 ottobre 2019 a Milano in occasione del conferimento della Laurea honoris causa in Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Qual era il punto centrale della crisi dell’eurozona nell’estate del 2012?

Secondo Draghi stava nel fatto che, a seguito della crisi dei debiti sovrani, l’area euro si era praticamente ‘frammentata’ dal punto di vista finanziario (The short-term challenges in our view relate mostly to the financial fragmentation that has taken place in the euro area), che gli investitori ripiegavano entro i confini nazionali e che il mercato interbancario non funzionava più (Investors retreated within their national boundaries. the interbank market is not functioning).

Dunque, bisognava superare questa divisione finanziaria che avanzava (we have to repair this financial fragmentation), determinata dal fatto che i singoli Paesi dell’eurozona erano considerati dagli investitori internazionali (e nazionali) con una scala di rischio molto differenziata e che tutto ciò si ripercuoteva sul ‘premio di rischio’ che ogni stato doveva pagare per il proprio debito sovrano: “nel luglio del 2012 gli spread dei titoli pubblici a 10 anni rispetto all’equivalente titolo tedesco erano pari rispettivamente a 500 punti base in Italia e a 600 in Spagna; valori ancora più elevati si registravano per la Grecia, il Portogallo e l’Irlanda” (dal discorso di Milano).

In queste condizioni il “rischio Paese” incorporato nei titoli di stato finiva per falsare il funzionamento del mercato interno: gli operatori economici dei Paesi a maggior rischio, indipendentemente dalla qualità della propria impresa, finivano per pagare tassi d’interesse sui finanziamenti bancari infinitamente maggiori rispetto a quelli dei Paesi a minor rischio.

Dunque, il normale funzionamento dei canali di trasmissione della politica monetaria della BCE (diretto, cioè, a produrre effetti omogenei sul mercato finanziario europeo e, in ultima istanza, sul mercato interno) era ostacolato dal grande differenziale sui premi di rischio dei debiti sovrani. La conclusione di Draghi era, allora, che questi rischi dovevano essere fortemente ridimensionati e che ciò rientrava nel mandato della BCE (To the extent that the size of these sovereign premia hampers the functioning of the monetary policy transmission channel, they come within our mandate).

Fu questa la “rivoluzione” di Draghi: sostenere che era compito della BCE ridurre i forti differenziali dei tassi d’interesse tra i debiti sovrani, perché questi impedivano il buon funzionamento della politica monetaria europea.

Dopo il discorso di Londra, la BCE si predispose per acquistare, in forma diretta, illimitata e definitiva, con operazioni denominate out-right monetary transaction (OMT) titoli di stato a breve termine, emessi da paesi in difficoltà macroeconomica grave e conclamata, a condizione che per questi fosse attivato simultaneamente un programma da parte del Fondo europeo di stabilità (ESM) in grado di garantire l’attuazione di politiche di bilancio adeguate per poter accedere all’OMT (requisito di condizionalità).

Dunque, un’estensione dei poteri d’intervento della BCE, ma impliciti nel mandato ricevuto, che produceva un rafforzamento del potere federale europeo sul terreno monetario. Il ricordo non può che andare all’iniziativa di Alexander Hamilton, capofila dei federalisti americani, che da Segretario al Tesoro degli Stati Uniti, fece istituire con legge del Congresso del 1791 la prima banca centrale de facto, con l’intento di estendere l’autonomia fiscale impositiva del governo federale e l’autonomia valutaria di emissione monetaria.

Come ha detto Draghi a Milano “se non avessimo fatto nulla saremmo in questo caso semplicemente venuti meno al nostro mandato e avremmo potenzialmente messo a rischio l’integrità della moneta che avevamo il compito di preservare. Ciò rendeva inevitabile la decisione presa; era l’unica possibile per un policy maker responsabile.”

Il solo annuncio della possibilità di un intervento della BCE sul mercato dei titoli di stato produsse effetti pari a un intervento concreto: “Le operazioni monetarie definitive OMT non sono state mai attivate ma l’effetto del nostro impegno a fare tutto ciò che fosse necessario per preservare l’euro fu potente, equivalente a quello di un programma di acquisto di titoli su larga scala. Gli spread nei paesi esposti caddero in media di 400 punti base nei successivi due anni. L’impatto macroeconomico dell’annuncio del programma fu di entità analoga a quella di altri programmi di acquisto di attività finanziarie che vennero attuati in altri Paesi.”

Questo è un esempio in cui si unirono i tre elementi ricordati dal presidente della BCE nel discorso di Milano: la conoscenza (“La lezione della storia è invece che le decisioni destinate ad avere un impatto duraturo e positivo sono basate su un lavoro di ricerca ben condotto, su fatti accuratamente accertati e sull’esperienza accumulata”); il coraggio (“Il punto importante, in questa sede non è che queste decisioni si siano rivelate appropriate ex post; conta invece che, quando la necessità di agire è stata documentata e motivata è stato trovato il coraggio di decidere, senza esitazioni, per il bene dell’Unione economica e monetaria”); l’umiltà (“essa discende dalla consapevolezza che il potere e la responsabilità del servitore pubblico non sono illimitati ma derivano dal mandato conferito che guida le sue decisioni e pone limiti alla sua azione…La natura politica del nostro mandato ha alcune implicazioni essenziali: non abbiamo la libertà di decidere se dobbiamo fare ciò che è necessario fare per assolvere il nostro mandato. È nostro dovere farlo”).

La lezione politica di Mario Draghi è dunque chiara. Chi lavora per le istituzioni europee deve agire nell’ambito del mandato ricevuto, sulla base della conoscenza dei fatti e con il coraggio che si rende necessario ai riformatori per superare gli ostacoli frapposti dagli interessi costituiti.

Occorre ora che la stessa forte volontà e lo stesso metodo di estendere il proprio potere d’intervento, si manifestino anche nelle altre due Istituzioni dell’Unione a valenza federale: il Parlamento e la Commissione.

Il loro mandato è definito, in termini generali, ma impegnativi, dall’art. 3 del Trattato di Lisbona, che chiede l’Unione di operare in tutti i campi previsti da uno Stato a democrazia avanzata, sia sul piano interno sia su quello internazionale. Il loro compito è dare attuazione al mandato ricevuto attraverso l’elaborazione, l’implementazione e lo sviluppo delle politiche europee che si rendono necessarie per conseguire gli obiettivi indicati. Anche forzando sulle linee di resistenza, contro gli interessi costituiti e superando, se del caso, i dubbi sulla legittimità ad agire.

La moneta europea ha superato, con Draghi, la prova della sua irreversibilità.

Tocca ora alla politica europea mostrare quella della sua essenza.

Articolo pubblicato su L’Unità Europea (2019/5).

Fonte immagine: Wikimedia.

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