Turchia 2022, si aprono le trattative prima ad Antalya, a seguire a Istanbul, per giungere a un desiderato cessate il fuoco tra Russia e Ucraina. Un fallimento su tutti i fronti. Il risultato: la prosecuzione del conflitto che ha riaperto la ferita della guerra che su suolo europeo si credeva ben cicatrizzata dalla fine della II Guerra Mondiale nel ’45.
Turchia 2025, un nuovo tentativo, ad Ankara questa volta, di mettere fine al continuo spargimento di sangue tra le due potenze. Tentativo che nasce claudicante in partenza, dato che non ne sono stati protagonisti né il leader ucraino, Volodymyr Zelensky, né la controparte russa, Vladimir Putin. Seduti al tavolo delle trattative, invece, vi erano le delegazioni rispettivamente guidate dal Ministro ucraino della Difesa, Rustem Umerov, e dal russo Vladimir Mendinsky, ex Ministro della Cultura dalle posizioni molto conservatrici e dalla visione complessiva abbastanza limitata. Aveva inoltre già partecipato ai tentativi di accordo nel 2022, concludendo con un nulla di fatto.
Le trattative di cui il presidente turco Erdoğan si è fatto portavoce e che vedono la partecipazione anche di delegazioni della NATO e degli Stati Uniti, con Marco Rubio, Segretario di Stato di Trump, sono considerate una sorta di messa in scena teatralizzante. Non a caso, la fiducia e la speranza in questi nuovi e ipotetici accordi che si sarebbero dovuti stipulare in Turchia sono parecchio sconfortanti. Sarebbe, invece, stato necessario per un colloquio proficuo da ambo le parti coinvolte, quella ucraina e quella russa, il dialogo tra i presidenti stessi delle due nazioni.
Il conflitto si è aperto in modo deflagrante per l’Ucraina e per l’Europa intera nel febbraio 2022 e da allora le condizioni poste per un’ipotesi di pace da parte della Russia sono state ridicole e pretenziose. Esempio principe di tutto questo è la richiesta dell’annessione dei territori occupati del Donbass, zona ucraina e luogo dei più sanguinosi scontri tra le due potenze, in modo totale alla Russia e il riconoscimento sempre alla suddetta della Crimea, occupata dai russi nel 2014. A questo si aggiunge la richiesta di una riduzione significativa della potenza militare ucraina e la rinuncia all’ingresso nella NATO e a una cooperazione militare stretta con l’Occidente da parte di quest’ultima. Ai due fattori si somma anche una pretesa russa per la fine o quantomeno la riduzione delle sanzioni occidentali su di essa. In cambio un ipotetico intavolamento di un cessate il fuoco o di un’intesa.
Risulta lampante quanto sbilanciato sarebbe un rapporto non solo ucraino-russo, ma europeo-russo, se un simile progetto venisse portato a termine. La Russia, sazia forse, ma non da dare per scontato, di razzie espansionistiche negli ex territori dell’Unione Sovietica - anche se Putin si rivede più nella figura egemonica di uno zar che di un Crushev - troneggerebbe nel panorama mondiale come forza indomita. Ineguagliabile nel controllo dei principali approvvigionamenti alimentari, avendo sotto di sé l’ucraino granaio d’Europa, ed energetici, mantenendo una mano ferma sui gasdotti, tenendo così in scacco tutto il mondo occidentale.
La Russia vorrebbe un’Ucraina debole, anzi, più corretto sarebbe dire docile, che servirebbe soltanto ad assicurare alla potenza influenza, sicurezza e riconoscimento da parte europea del suo ruolo egemone nella zona post-sovietica.
Difficile, date le richieste pretenziose della Russia, pensare che Erdoğan e la sua Turchia riescano a portare a un momento di riconciliazione tra i due paesi, ormai in una guerra che ha mostrato spietatezza e mancanza di rispetto dei principali diritti umani.
Infatti, gli obiettivi russi di bloccaggio dell’ipotetica espansione occidentale a suo discapito sono inconciliabili con quelli ucraini che chiedono libertà, indipendenza e integrazione nel piano europeo. L’Ucraina, di fatti, domanderebbe l’abbandono da parte dell’esercito russo delle zone occupate dal 2014 ad adesso, quindi Crimea e Donbass in via principale, e la sua partecipazione alla NATO, cosa che le garantirebbe una certa dose di sicurezza contro eventuali nuovi attacchi, avendo l’obbligo le potenze NATO di difendersi reciprocamente secondo l’Articolo 5 del Trattato Nord-Atlantico del ’49. L’Ucraina vorrebbe poi aderire all’Unione Europea, cosa che le porterebbe ulteriori vantaggi strategici che le farebbero da scudo contro la potenza russa.
Quello che si staglia è uno sfondo di fini giochi di potere tra oligarchi e potenze europee, che vede l’Ucraina succube delle strategie russe a fini antieuropei. Le contrattazioni apertasi ad Ankara, in Turchia, nel 2025, dove si armeggia tra la richiesta ucraina di un cessate il fuoco entro 30 giorni e le pretese russe di annessione territoriale, sono finite in un nulla di fatto. Sembrerebbe quindi essere stata davvero una sorta di gran messa in scena, o, usando le parole del presidente Vlodomyr Zelensky, una “scenografia teatrale”, in cui di fatto i teatranti non sono stati nemmeno i rispettivi capi di stato, ma delegazioni diversamente composite, che era poco probabile portassero a casa un qualsivoglia tipo di successo, almeno sul piano umanitario, quindi di cessazione delle barbarie che hanno caratterizzato il conflitto dalla sua apertura, con bombardamenti su ospedali e asili e totale dimenticanza della Carta dei Diritti dell’Uomo redatta nel 1948. In Turchia in un afoso pomeriggio di maggio l’unico risultato ottenuto da ambo gli schieramenti è stato il possibile scambio di 1000 prigionieri da entrambe le parti, che, se verrà portato a termine, segnerà il più grande atto del genere dall’inizio del conflitto, ma nessuna mossa verso la pace. La quale, come ricorda Boris Pistorius, Ministro della Difesa russo, non è nemmeno in agenda per Putin.
Uno scenario triste, desolante. Una ferita aperta sul territorio che si faceva vanto, fino al 2022 almeno, di essere la zona con la situazione di pace più longeva della terra dalla fine dei conflitti mondiali.
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