Tutti i rischi dell’agflazione

, di Simone Vannuccini

Tutti i rischi dell'agflazione

Cosa succederebbe se, a causa del riscaldamento globale, le fredde steppe della Siberia e gli inospitali territori dell’Alaska (e del Canada) si trasformassero nel terreno ideale per sterminate coltivazioni agricole?

Probabilmente sia le odierne strategie di geopolitica che i rapporti fra gli stati verrebbero rivoluzionati: i paesi sviluppati (o ricchi di risorse energetiche) ma poveri di materie prime potrebbero convertire la loro incontenibile e crescente domanda di risorse per l’alimentazione e l’allevamento in una cospicua offerta, diretta a tutti quei PVS che si ritroveranno stretti nella morsa della desertificazione, delle lotte per la disponibilità dell’acqua e dell’inarrestabile ridimensionamento della biodiversità. Non occorre però immaginare scenari del genere per capire l’importanza che la produzione agricola, ancora oggi nell’era dell’information technology, riveste nell’influenzare i fragili equilibri della politica mondiale e la distribuzione geografica di ricchezza, benessere e potere.

Oggi in particolare l’agricoltura rappresenta il terreno privilegiato sul quale può nascere ed evolvere il rischio di una crisi di portata globale; non stiamo parlando delle crisi di produzione che investono i PVS “incapaci” di differenziare le colture da esportazione, concentrandosi su un solo prodotto (caffè, cotone, cacao ecc.); bensì di un prossimo generalizzato aumento dei prezzi dei beni agricoli che si sta determinando a causa di una vera e propria rivoluzione del settore. “Mai più cibo a buon mercato” è lo slogan che accompagna questa rivoluzione, mentre un neologismo è stato coniato per descriverla: agflazione (agricoltura+inflazione).

… mai più cibo a buon mercato con l’agflazione …

Le responsabilità dell’agflazione non sono da imputarsi ad una scarsità assoluta di cibo rispetto all’aumento del peso della popolazione sul pianeta (à la Malthus); come ci insegna lo stesso Amartya Sen, anche durante le carestie più gravi il problema non è mai stato la quantità di cibo a disposizione (che spesso era anzi sovraprodotto), quanto piuttosto la capacità dei diversi soggetti di poter prendere parte alla distribuzione e alla produzione di queste risorse. Ma ciò che rende l’agflazione un fenomeno nuovo sono le sue cause principali: l’emergere di nuovi paesi consumatori, il climate change, la sostituzione delle coltivazioni per l’alimentazione con quelle per la “transizione ecologica” dei combustibili.

Poco possiamo dire sulla crescente domanda di cereali da parte dei nuovi giganti asiatici; il crescente benessere comporta l’introduzione di nuovi cibi (in particolare la carne) nelle diete, la cui produzione richiede l’impiego di molte più risorse (terreni per il pascolo, foraggio). Per quanto riguarda invece il climate change, abbiamo già accennato a come i suoi effetti dipenderanno dall’intrinseca “geograficità” del mutamento; ciò che è certo è che gli stati maggiormente colpiti dall’aumento delle temperature dovranno diminuire la produzione, con un conseguente incremento dei prezzi sul mercato internazionale (a meno di un “passaggio di consegne”, ovvero la possibilità di iniziare a coltivare terreni finora inospitali, come prospettato all’inizio). Più interessante per le sue implicazioni è la terza causa; la necessità sempre più pressante di sostituire i combustibili fossili ha generato l’esplosione del mercato dei biocarburanti, sostituti del petrolio potenzialmente ad emissioni zero (l’anidride carbonica emessa viene riassorbita dalle piantagioni che crescono per produrre nuovo combustibile).

… è necessario cambiare le logiche di mercato alla base …

Ma questa possibilità, se da un lato ha aperto un ricco e nuovo mercato, trasformando la questione ambientale da sfida ad ricco business, dall’altra sta riducendo continuamente i terreni destinati alle coltivazioni alimentari; la scarsità che si viene a creare tra la riduzione della produzione per l’alimentazione e l’allevamento e l’aumento a livello mondiale della domanda genera inflazione; paradossalmente la volontà di convertire l’economia in modi più sostenibili sta generando una situazione insostenibile.

Non è possibile risolvere problemi così complessi e che dipendono da numerose e spesso contrastanti variabili continuando a far prevalere la logica mercatistica anche nell’applicazione di principi ed idee “ecologiche”. E’ inutile introdurre nuove risorse se poi la logica che guida la loro utilizzazione è la stesa che ha portato all’industrializzazione sfrenata e alla “religione del profitto”. Solo con una consapevolezza veramente ecologica, fatta di ragionamento complesso e sistemico, cosmopolita e di respiro globale il genere umano potrà sperare in un futuro migliore.

Altrimenti potrebbe diventare sempre più realistica la simpatica battuta nella quale un soldato americano su carrarmato parla ad un coltivatore di mais dell’Iowa, dicendo: “We are here to free the people of Iowa. This has nothing to do with your abundant supply of corn” (trad. siamo qui per liberare il popolo dell’Iowa. Questo non ha niente a che fare con la vostra abbondante offerta di cereali).

L’articolo è comparso sul blog di Stellesenzastrisce

Fonte dell’immagine Flickr.com - Ana Cotta

Tuoi commenti
  • su 1 aprile 2008 a 17:12, di Francesco In risposta a: Tutti i rischi dell’agflazione

    Grazie Simone per l’utile lettura. Quali fonti hai usato? Esiste anche una riflessione in termini di politiche a proposito del problema o è talmente ingestibile, all’attuale livello di potere d’autogestione che ha l’umanità, da dar luogo solo a fondatissime paure?

  • su 7 aprile 2008 a 19:28, di Simone In risposta a: Tutti i rischi dell’agflazione

    Grazie a te Francesco per il commento! Le fonti sono svariate, dai numerosi articoli recenti sui «commodity prices» in aumento, ai working papers di FMI e Banca Mondiale, a qualche riflessione geopolitica. Sinceramente non sono a conoscenza di risposte istituzionali già messe in atto rispetto a questo problema, se non consideriamo qualche politica nazionale volta alla riduzione di dazi o tasse già esistenti (ciò può calmierare i prezzi nel breve periodo, ma non risolve certamente i problemi di fondo). L’effetto combinato di pressione demografica, aumento della domanda ed accesso al mercato di un numero crescente di persone (vedi Cina-India), si farà sempre più sentire in questo periodo di transizione tra un mondo «inter-nazionale» ad uno «trans-nazionale»; l’unica possibilità di riportare ordine là dove regna la confusione, ovvero di riallineare a livello mondiale politica (ancora prevalentemente nazionale) ed economia (già sovranazionalizzata), risiede, dall’alto, nella democratizzazione della governance globale (ad esempio con la creazione di un’assemblea parlamentare mondiale sovrana su questioni di rilevanza planetaria) e, dal basso, nell’acquisione di una consapevolezza e di un’etica post-economicistica da parte dei singoli cittadini.

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