Un amore macchiato

La presa di posizione europea alla luce dell’accordo Cina-UE sugli investimenti

, di Annika Pietrus, tradotto da Benedetta Viola

Tutte le versioni di questo articolo: [Deutsch] [English] [italiano]

Un amore macchiato
I leader cinesi e della UE in videoconferenza nel dicembre 2020 © European Union, 2019 © European Union, 2019

Il 30 dicembre, la Cina e l’Unione Europea hanno concluso i negoziati per il Comprehensive Agreement on Investment (CAI), l’accordo globale sugli investimenti. Sebbene sia celebrato come un passo importante per creare parità di condizioni per gli investitori europei in Cina, il CAI è fortemente criticato dai legislatori europei, dai media internazionali, dalle organizzazioni per i diritti umani e dall’attuale amministrazione statunitense. Voci contro l’accordo di investimento con la Cina accusano l’Unione Europea di volersi alleare con uno stato noto per i suoi gravi abusi dei diritti umani contro gli avversari politici in patria e ad Hong Kong, nonché per il maltrattamento degli Uiguri, minoranza musulmana in Cina.

Nonostante la serie di opinioni polarizzanti create dall’accordo tra Cina e UE, l’accordo in sé non è stato un atto a sorpresa: i negoziati erano in corso da sette anni. Gli anni tra il 2013 e il 2020 hanno rivelato, più di una volta, il complicato rapporto tra l’UE e la Cina.

Le relazioni tra l’UE e la Cina si sono compromesse a causa della riluttanza della Cina, attore globale, ad adattarsi alle norme democratiche. Per molto tempo l’UE ha fondato la sua speranza di una Cina democratica sulle proteste di piazza Tienanmen del 1989. Nel 1989, l’esercito cinese represse nel sangue le manifestazioni guidate da studenti in piazza Tiananmen a Pechino, in seguito alla morte dell’ex leader del Partito comunista cinese Hu Yaobang e alla crescente insoddisfazione per la lentezza con cui venivano approvate le riforme nel Paese. In risposta, la Comunità economica europea (CEE), il primo pilastro dell’Unione europea, introdusse sanzioni e avanzò richieste di libertà democratiche che Pechino non avrebbe mai soddisfatto. Il leader cinese dell’epoca, Deng Xiaoping, nutriva una profonda consapevolezza degli interessi stranieri nell’economia cinese. La sua tattica fu quella di rimanere saldo e lasciare le imprese straniere esercitare pressioni sui rispettivi governi, affinché abbandonassero le sanzioni e tornassero a una posizione più consensuale nei confronti della Cina. La tattica di Deng Xiaoping non deluse; l’UE divenne in poco tempo il più importante partner commerciale della Cina.

L’incidente di piazza Tienanmen introdusse una spaccatura nelle politiche dell’Unione Europea nei confronti della Cina che esiste fino a oggi: tra accordi commerciali e diritti umani vi è una linea netta. La Cina è un partner economico fondamentale da 20 anni e il nuovo accordo di investimento consolida ulteriormente questo rapporto, garantendo un maggiore accesso al mercato agli investitori dell’Unione e impegni verso un trattamento più equo delle aziende europee in Cina, per consentire parità di concorrenza tra le organizzazioni cinesi ed UE. Il CAI lega ancora di più l’UE alla Cina, creando una maggiore interdipendenza, che va a svantaggio della posizione dell’Unione Europea contro le violazioni dei diritti umani. L’Unione solleva le proprie preoccupazioni nel discutere del trattamento da parte della Cina di oppositori politici, giornalisti, manifestanti a Hong Kong e comunità uigura. Tuttavia, basta una rapida ricerca sul trattamento degli uiguri per sollevare la questione se il fatto di “manifestare preoccupazioni” sia una misura adeguata per contrastare gli abusi della Cina.

Gli Uiguri sono una minoranza etnica musulmana di origine turca che si considera etnicamente vicina agli stati dell’Asia centrale. Circa 11 milioni di Uiguri vivono nella regione cinese dello Xinjiang, attualmente dichiarata autonoma. In realtà, per la regione e la sua popolazione, l’autonomia è un concetto astratto. Sono strettamente legati alle leggi e ai regolamenti cinesi e, come ha proclamato il presidente Xi Jinping, devono allineare la loro religione e le loro tradizioni all’orientamento e alla società cinesi. Il processo di allineamento è forzato: centinaia di migliaia di Uiguri sono detenuti in campi nella regione occidentale dello Xinjiang. Il governo cinese li chiama strutture di formazione per contrastare il terrorismo. Gli attivisti, per smantellare questo eufemismo, chiamano le strutture di formazione per quello che sono: centri di detenzione. Per i detenuti, i campi significano tortura fisica e psicologica, sorveglianza e punizioni rigorose, nonché l’imposizione forzata di confessioni per rinunciare al loro credo. Le centinaia di migliaia di Uiguri in questi campi non hanno avuto diritto a un processo e non sanno quando potranno andarsene. Al di fuori dei campi, il governo cinese si focalizza sulla riduzione della popolazione uigura. Una ricerca pubblicata dalla Jamestown Foundation, un’organizzazione di ricerca globale, afferma che le donne uigure devono rispettare una politica di controllo delle nascite e sottoporsi a sterilizzazione; sono, inoltre, costrette ad abortire o ad assumere pillole anticoncezionali senza il loro libero consenso.

La brutalità di questo trattamento richiede più di un semplice linguaggio diplomatico: in termini normativi, richiede solidarietà e lotta per la giustizia da parte delle nazioni di tutto il mondo. In termini politici, richiede sanzioni e il rifiuto di piegarsi alla pressione cinese per motivi economici. Nel frattempo, la Cina scommette su una realtà che ha continuato a sussistere sin dai tempi del presidente Deng Xiaoping: diplomatici, politici e popolazione possono protestare, ma in fin dei conti tutti ambiscono a ottenere una parte dell’economia cinese.

Il CAI deve ancora essere ratificato dai membri del Parlamento europeo (PE). Il PE non può interferire direttamente con i negoziati o fissarne gli obiettivi, ma può esigere trasparenza e rispetto dei valori dell’UE. Si spera che il PE espliciterà questi valori nel processo di ratifica e si varrà dei suoi poteri, così da prendere una posizione chiara in favore dell’approccio dell’Unione verso la giustizia e i diritti umani. Indipendentemente dallo stato della ratifica, i lunghi negoziati sul CAI hanno portato alla luce un rapporto UE-Cina su molteplici livelli. Questa relazione potrebbe essere gestita piuttosto agevolmente, sulla base delle ambizioni economiche di entrambe le parti: i ricorrenti problemi in tema di diritti umani dovranno cessare di presentarsi, ma fino adesso hanno lasciato una macchia indelebile.

Tuoi commenti
moderato a priori

Attenzione, il tuo messaggio sarà pubblicato solo dopo essere stato controllato ed approvato.

Chi sei?

Per mostrare qui il tuo avatar, registralo prima su gravatar.com (gratis e indolore). Non dimenticare di fornire il tuo indirizzo email.

Inserisci qui il tuo commento

Questo campo accetta scorciatoie SPIP {{gras}} {italique} -*liste [texte->url] <quote> <code> ed il codice HTML <q> <del> <ins>. Per creare paragrafi lasciare semplicemente delle righe vuote.

Segui i commenti: RSS 2.0 | Atom