La politica è una peculiare attività che produce contemporaneamente fatti e interpretazioni dei fatti. La politica ha prodotto imperi, stati e civiltà. Ma la politica ha prodotto anche le ideologie che hanno messo in discussione e sconvolto imperi, stati e civiltà. L’elezione europea mostra bene l’ambiguità dell’azione politica.
I partiti nazionalisti, o sovranisti, hanno promesso agli elettori di trasformare l’Unione europea in una Lega delle nazioni. Marine Le Pen, Salvini e Orban hanno stravinto in Francia, Italia e in Ungheria. Il Brexit Party ha ottenuto 31,6% dei voti ma, nel Parlamento europeo (PE), dei 71 deputati inglesi 40 sono a favore del «remain.» Nigel Farage dovrebbe ammettere che solo una minoranza di inglesi vuole la Brexit. Per ora, i sovranisti hanno fallito il loro attacco all’UE. Il vantato grande successo dei sovranisti consentirà al massimo di formare un gruppo minoritario (21%) nel PE.
Più importante è l’insieme dei partiti progressisti europei. È vero che PPE e S&D hanno perso voti, ma ora i Verdi formano un gruppo importante (69 seggi) e l’ALDE (ora Reniew Europe) conta 109 seggi. Non esiste una chiara maggioranza né di centro-destra né di centro sinistra. Tuttavia, una soluzione si troverà, a patto che il Presidente Macron rinunci alla sua assurda pretesa di non tener conto del voto dei cittadini europei e delle proposte sostenute dagli Spitzenkanditaten durante la campagna elettorale.
Il suo argomento che prima si debbano valutare i programmi e poi si sceglie la persona, dimostra solo la sua visione intergovernativa della governance europea. Perché Macron vuole sostituire il suo giudizio a quello degli elettori? A un politico che vuole “un’Europa sovrana” occorre ricordare che nelle costituzioni moderne si è ormai affermato il principio che la sovranità appartiene al popolo, dunque ai cittadini europei e al Parlamento europeo che, insieme al Consiglio, l’esercita. Vi sono ragioni per sostenere che la procedura degli Spitzenkandidaten è ancora imperfetta, ma questo non significa che il Presidente della Commissione debba essere imposto dal Consiglio europeo, un organismo che non ha alcuna legittimità popolare europea.
Vediamo ora le prospettive di lungo periodo della legislatura. La lotta contro il nazionalismo non è vinta. L’esito di questa elezione europea sarà decisivo per il futuro dell’Unione. Ai partiti progressisti europei spetta un compito difficile. Devono rimediare agli errori commessi dalla vecchia governance dell’UE, incapace di contrastare la crisi economica e di fiducia che ha consentito il ritorno del nazionalismo; e lo possono fare a patto che sappiano realizzare le riforme necessarie sia per rassicurare i cittadini circa il loro futuro, sia per difendere l’Unione dalle insidie della politica mondiale. È una sfida esistenziale.
Consideriamo un fatto misconosciuto. Si dice che l’Unione è una burocrazia. Si dovrebbe dire con maggiore precisione che è uno stato burocratico senza un governo democratico. L’Unione è uno stato che si è consolidato nel corso dei 69 anni della sua esistenza, ottenendo dai governi nazionali il potere di produrre beni pubblici sovranazionali, in particolare il mercato unico e l’Unione monetaria. Quando la Brexit ha minacciato la sua esistenza, l’UE si è compattata. Ora se l’Unione vuole sopravvivere deve riprendere la via che nel passato le ha consentito di progredire. Sono necessari un bilancio europeo adeguato alla fornitura di nuovi beni pubblici sovranazionali, in particolare per la coesione economico-sociale tra i suoi cittadini e i suoi stati membri, e una difesa europea, per agire come uno stato nella politica mondiale. L’Unione europea deve elaborare una linea di condotta che le consenta di agire e di prosperare nella politica mondiale: questa è la sua ragion di stato.
Le riforme rafforzeranno contemporaneamente la capacità d’azione esterna dell’Unione e i rapporti tra i cittadini e le istituzioni. L’Unione avrà una funzione cruciale e progressiva nella politica mondiale se saprà svolgere il ruolo di “stabilizzatore e riformatore” delle istituzioni internazionali create dagli USA dopo la seconda guerra mondiale e oggi in crisi profonda nel nuovo sistema mondiale di grandi potenze. USA, Cina, India, Brasile, Russia e altri agiscono in funzione della pura difesa del loro interesse nazionale.
Si comportano come stati nazionali e non hanno progetti significativi per arrestare la deriva nazionalistica e il disordine mondiale. L’Unione europea, al contrario, è uno “stato di stati nazionali” che hanno deciso di rinunciare alla guerra per risolvere le loro controversie. Se il governo dell’Unione agirà con saggezza e lungimiranza, proponendo un piano per una global governance cooperativa, potrà progressivamente estendere il modello di pacifica convivenza dei popoli europei ad altri continenti e al mondo intero.
In ogni stato, politica estera e politica interna sono due aspetti interdipendenti. Per questo la creazione di nuovi strumenti per la coesione sociale ed economica tra i cittadini e gli stati dell’Unione è altrettanto importante della politica estera: un’Unione disunita e litigiosa al suo interno sarà facile preda delle grandi potenze mondiali che già stanno praticando la politica del divide et impera nei confronti della ricca, ma debole UE, come fanno Russia, Cina e USA. L’Italia del Rinascimento, con le sue ricchezze e la sua cultura, ma divisa in staterelli, è stata spartita in principati vassalli delle grandi potenze europee. L’Unione europea può e deve evitare questo destino.
Per consentire all’Unione di agire è necessario abolire al più presto il diritto di veto nel Consiglio dei Ministri nelle materie di politica estera, di politica fiscale e di bilancio. Le decisioni all’unanimità nel Consiglio europeo e nel Consiglio dei Ministri sono il grimaldello usato dai governi nazionali per escludere il Parlamento europeo dal processo decisionale e per ridurre la Commissione a un segretariato del ‘Direttorio supremo,’ non responsabile nei confronti dei rappresentanti dei cittadini europei. Se si metterà fine a questo scandalo antidemocratico, la Commissione comincerà ad agire come un vero governo responsabile nei confronti di un sistema bicamerale, Parlamento e Consiglio dei Ministri, come oggi già avviene nelle materie in cui si attua la procedura della co-decisione Parlamento-Consiglio.
In seguito, bisognerà attuare riforme più in profondità, ad esempio eliminando la pretesa che ogni paese abbia un commissario e istituendo un sistema trasparente, uniforme e democratico per l’elezione europea: oggi la presentazione di partiti nuovi all’elezione europea è praticamente impossibile per le varie difficoltà che ogni governo impone alla presentazione di partiti nuovi. Le forze democratiche del rinnovamento europeo devono sottoporsi prima alla ghigliottina nazionale. L’elezione europea va liberata dalla pretesa dei partiti nazionali di avere una loro quota nel PE. Con queste regole, i partiti nel PE sono europei solo di facciata: in pratica sono una somma di partiti nazionali. All’elezione, i cittadini europei devono votare per un partito europeo e per uno Spitzenkandidat alla Presidenza della Commissione europea. L’elettore europeo deve decidere quale partito, quale maggioranza e quale governo votare. Oggi non è così. Pertanto, prima o poi, si dovrà riscrivere una Costituzione europea.
La fase che si sta avviando della politica europea sarà cruciale per molti partiti tradizionali. Se si rifiuteranno di comprendere la novità dell’impegno su scala europea, restando prigionieri del quadro nazionale, scompariranno. Chi diventerà una forza progressiva europea avrà un futuro. La prospettiva di agire per un futuro di progresso per l’umanità oggi attrae molti giovani che sentono l’urgenza di battersi per grandi ideali, quali la solidarietà, le diseguaglianze tra ricchi e poveri, dentro le nazioni e tra le nazioni, per uno sviluppo sostenibile del pianeta, per la pace internazionale e contro l’insensata corsa agli armamenti, che dilapida risorse preziose che potrebbero essere messe al servizio dell’UE, dell’ONU. Il rinnovamento della democrazia nazionale, dipenderà sempre più dalla costruzione della democrazia europea.
Sarà una fase cruciale anche per i federalisti europei. La lotta contro la deriva nazionalista della politica europea e mondiale durerà a lungo, forse per generazioni, e vi sarà certamente bisogno di una forza che sappia vedere lontano, per ispirare anche nel breve periodo quel ruolo “stabilizzatore e riformatore” che solo una UE, con un governo consapevole della sua funzione pacificatrice nel mondo, potrà svolgere. Questo compito richiederà la ricerca di nuovi strumenti d‘azione e nuovi rapporti tra federalisti europei e federalisti mondiali. Oggi, l’UEF agisce come centro europeo di coordinamento dei movimenti nazionali. In futuro, questo ruolo dovrà essere svolto sempre più da UEF e WFM – dove la campagna per un Parlamento mondiale è già avviata con successo – per attivare un moto internazionale di opinione pubblica che abbia come finalità esplicita la creazione di una cittadinanza mondiale. Il federalismo diventerà un pensiero rivoluzionario se saprà indicare all‘umanità quali vie seguire per costruire il proprio futuro.
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