Una riflessione sull’importanza che i valori della Repubblica rappresentano per noi giovani oggi.

Una festa della Repubblica diversa: il nuovo significato della democrazia in Italia

, di Giulia Sulpizi

Una festa della Repubblica diversa: il nuovo significato della democrazia in Italia
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Personalmente sono sempre stata molto legata alla ricorrenza del 2 giugno. Ritengo, infatti, che essa sia il momento per eccellenza per celebrare il nostro Paese e per sentirci, in questa circostanza, ancora più orgogliosamente italiani. Non c’è retorica in queste parole, né nazionalismo. Ciò che voglio esprimere è un forte senso di patriottismo. L’amore per la mia cultura, le mie origini, la mia storia fanno parte di me e le ho sempre custodite come importanti tesori.

Personalmente sono sempre stata molto legata alla ricorrenza del 2 giugno. Ritengo, infatti, che essa sia il momento per eccellenza per celebrare il nostro Paese e per sentirci, in questa circostanza, ancora più orgogliosamente italiani. Non c’è retorica in queste parole, né nazionalismo. Ciò che voglio esprimere è un forte senso di patriottismo. L’amore per la mia cultura, le mie origini, la mia storia fanno parte di me e le ho sempre custodite come importanti tesori.

Non mi sono mai vergognata di essere italiana. Il nostro Paese – con tutti i suoi difetti macroscopici – mi ha permesso di vivere in una condizione di libertà e di uguaglianza, al riparo dalla dittatura e dalle costrizioni. Mi è stata data la possibilità di crescere, di studiare e di accedere – almeno sulla carta – a qualsiasi professione io desideri. E tutto ciò proprio a partire da quel 2 giugno 1946, quando si andò a votare per scegliere tra monarchia e Repubblica, facendo, altresì, accedere al voto, per la prima volta senza distinzione alcuna, anche le donne.

È una data importante e significativa. Ha mutato i contorni di un’epoca e ha influenzato profondamente l’esistenza mia e di tutti noi concittadini. La scelta della forma di Governo repubblicana ha, poi, dato la possibilità all’Italia di cambiare il proprio destino e di aderire alle allora Comunità europee, che poi hanno dato vita all’Unione in cui oggi ci troviamo a vivere.

Non sono cambiamenti di poco conto. Per questo ritengo che il discorso che pronuncerà questa sera il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella risulterà particolarmente significativo, trattandosi di un’analisi su cosa abbia rappresentato il 2 giugno 1946 per il nostro Paese, con l’invito a coltivare la memoria e le radici di quest’importante avvenimento.

Tali riflessioni sono ancora più rilevanti se consideriamo il difficile periodo storico che l’Italia – e il mondo tutto – ha attraversato e sta attraversando. A più di un anno dallo scoppio della pandemia Covid-19 molte sono le incertezze, le ansie e i dubbi che assalgono gli italiani e, in particolare, noi giovani. Ci siamo visti, per la prima volta, privare delle libertà e dei diritti che davamo per scontati e ci siamo ritrovati a sperimentare, seppure a causa di un’emergenza gravissima, cosa voglia dire non avere il pieno controllo delle proprie attività e dei propri progetti per il futuro.

Da qui sorge, quindi, un pensiero nostalgico in me: rifletto su quante cose sono cambiate, da quel 2 giugno 1946 – giorno di vera e propria festa – ad oggi.

È una realtà diversa quella in cui ci troviamo, in cui la democrazia che conoscevamo sta iniziando a sgretolarsi sotto i nostri occhi. Come abbiamo rinunciato in fretta a far valere le nostre prerogative e a scendere in piazza quando dei “semplici” DPCM ci hanno chiusi in casa! Come ci siamo dimenticati in fretta del dettato costituzionale! Come non abbiamo criticato i nostri politici che, rinunciando alla loro funzione all’interno del nostro Parlamento nazionale, non hanno contribuito – soprattutto nella fase iniziale della lotta al Coronavirus – a stendere alcun testo legislativo!

Ci siamo dimenticati, dunque, dei sacrifici compiuti dai nostri padri per arrivare a quel 2 giugno 1946? Ci siamo dimenticati dell’impegno civile, della militanza, del reale significato della parità e del contrasto alle disuguaglianze, economiche, sociali e politiche? Ci siamo dimenticati di cosa voglia dire lottare per ciò in cui si crede e sacrificarsi per i propri ideali?

Forse sì. Ce ne siamo dimenticati noi giovani soprattutto. Chiusi in gusci vuoti, in molti hanno smarrito la strada.

Badate bene, non sto incoraggiando le nuove generazioni a scendere in piazza con i forconi o a protestare in maniera violenta e visibile. Non sono stata – e non lo sono tutt’ora – una sostenitrice delle “sardine”. L’opposizione politica, a mio modo di vedere, è fatta di contenuti e non di vuoti declami e di lotte oppositive e dicotomiche: questa è la vera debolezza di questo movimento che, non a caso, è, ad oggi, praticamente scomparso dal dibattito pubblico.

Non è nulla di tutto questo ciò che intendo. Mi riferisco, piuttosto, alla necessità di tornare a studiare, anche e soprattutto la nostra Costituzione.

Sarà perché sono una laureata in Giurisprudenza e un’appassionata di diritto pubblico, ma per me sapere che vi sono dei miei coetanei che si recano alle urne senza neanche comprendere perché o per cosa votare mi riempie di profonda tristezza ed amarezza.

Il 2 giugno ci dovrebbe ricordare, non a caso, che il voto è sì un diritto, ma anche e soprattutto un dovere. Esercitare tale prerogativa, dunque, costituisce un connotato essenziale del nostro essere cittadini fieri e consapevoli. Non conoscere, al contrario, il significato e la storia delle istituzioni repubblicane non può che rappresentare un vulnus per lo stesso concetto di democrazia.

La democrazia, infatti, muore senza nessuno che la preservi dalle storture e che la accudisca costantemente, con impegno, serietà e dedizione, anche e soprattutto nelle piccole cose e nei gesti di tutti i giorni. Dedicarsi, dunque, al proprio lavoro, studiare e conoscere il diritto costituzionale, tenersi aggiornati sugli avvenimenti di maggior rilievo della politica nazionale ed internazionale, adempiere ai propri doveri di contribuente responsabile, aiutare il prossimo – in una dimensione di solidarietà – , sostenere chi non ha i mezzi per far fronte alle più basilari necessità sono compiti che ogni buon cittadino, nei limiti delle sue capacità e possibilità, dovrebbe imporsi.

In un momento difficile come questo si potrebbe obiettare che “l’uomo medio della strada” evocato dallo stesso codice civile abbia altre preoccupazioni: il lavoro, la salute, la famiglia, gli affetti sono solo alcuni degli ambiti della vita di ciascuno di noi che sono stati impattati dalla crisi pandemica. Come si può pretendere, quindi, un’attenzione focalizzata su uno Stato – e una classe dirigente – in cui si fatica a credere? Come fare per ricostituire quell’antico e prezioso legame che è stato forgiato dapprima dalla lotta al fascismo e, poi, dal sorgere della Repubblica italiana? Come ricucire quest’antico strappo?

La risposta non è – e non può essere – univoca. Credo, però, che un buon punto di partenza possa consistere in una rinnovata attenzione alle istituzioni del nostro Paese e in una maggiore educazione delle nuove generazioni ad interessarsi ai fatti di attualità, sospingendo queste ultime a non lasciarsi trascinare dagli eventi, ma spingendole ad esserne protagonisti.

È un percorso lungo e accidentato, che si basa, soprattutto, su inputs che devono provenire, innanzitutto, dalle famiglie e dalla scuola, i principali agenti in questa rivoluzione copernicana di mentalità.

Nel mio caso è stato così. La mia famiglia mi ha insegnato a studiare e a documentarmi sempre e mi ha incoraggiata a non avere timore nell’esprimere le mie posizioni. Una giovane donna forte deve sapere di poter argomentare le sue idee come preferisce, nel rispetto degli interlocutori, ma con fermezza e coraggio.

La scuola, poi, soprattutto il liceo classico che ho frequentato a Parma, mi ha spronata a guardare oltre la mia dimensione locale e nazionale. Mi ha spinta, prima ancora dell’Università, a muovermi in un mondo fatto di contrasti e ingiustizie, ma anche di sogni e di speranze. Mi ha dato la possibilità di crescere e di vivere le assemblee di istituto non come semplici “ricreazioni prolungate”, ma come veri e propri momenti di arricchimento personale.

Rammento, in particolare, le diverse tematiche politiche – e scottanti – che si affrontavano in quelle aule, sotto la spinta degli stessi professori, che ci incoraggiavano a discutere e a pensare con la nostra testa. Un insegnamento, quest’ultimo, non di poco conto e, purtroppo, spesso non condiviso dalle istituzioni scolastiche italiane.

Questi due ingredienti, se uniti e combinati tra loro, potrebbero portare le nuove generazioni a vivere con maggiore consapevolezza la festa della Repubblica. Solo così, infatti, i giovani comprenderebbero che tale ricorrenza è soprattutto dedicata a loro, le nuove leve del Paese, le speranze per il futuro.

Se non siamo consci di tale – fondamentale – rilievo, allora la crisi, umanitaria, sociale ed economica che stiamo vivendo, ci ha già sopraffatti e ha vinto su di noi.

Mi rifiuto di credere che sia così e che sia tutto perduto. Per questo, le parole di Mattarella di oggi saranno fondamentali. Credo che rammenterà l’importanza di sentirsi italiani e, ancor di più, europei, non più soli nelle avversità.

Ed io sono consapevole che ciò è il punto di partenza per costruire la nostra identità, con la consapevolezza di quali diritti si possa e si debba tutelare, come uomini e donne, oltre che come cittadini.

E sono, altresì, consapevole che questa forza e questa determinazione – di crescita personale e valoriale – nessuno me la potrà portare via. Nemmeno il Coronavirus, che tutto ha cambiato, anche per me.

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