Una nuova speranza

, di Giulia Sulpizi

Una nuova speranza

La vittoria di Joe Biden alle competizioni elettorali americane ha portato con sé numerose conseguenze. Tra queste, una delle maggiormente significative sta nella nomina di Kamala Harris a Vicepresidente degli Stati Uniti: una vera svolta, un capitolo inedito di una storia costituzionale centenaria. La Harris è, infatti, la prima donna a ricoprire tale incarico nel Paese.

La sua vita inizia in California, in una famiglia di immigrati. Sua madre è un’attivista per i diritti civili, forte ed energica, che tanto ha influito sulla formazione della giovane Kamala. “Don’t let people tell you who you are. You tell them who you are” era solita ripeterle la donna, quasi presagendo per il futuro della figlia.

Laureata in legge, lavora come procuratore distrettuale e in queste aule conosce il figlio di Joe Biden, Beau, che morirà di cancro a soli quarantasei anni. Non è stata da subito una sostenitrice del neo-eletto Presidente, che lei stessa, durante le primarie democratiche, aveva duramente attaccato per la sua opposizione al “busing”, pratica che consiste nel portare i bambini in autobus a scuola al di fuori dei loro quartieri di residenza per ridurre la segregazione razziale. Tematica, questa, particolarmente cara alla Harris, che ha vissuto sulla sua pelle la discriminazione razziale e di genere.

Si fa strada nell’ambiente progressista – non senza nemici e guadagnandosi l’appellativo “top cop” – in seguito alla sua nomina a senatrice dello Stato della California e, in particolare, dopo l’audizione dell’Associate Justice della Supreme Court, Brett Kavanaugh, che si vide sommerso dalle domande stringenti della donna.

Si candida, dapprima, per la corsa a Commander in Chief, ma la sua esperienza giunge al capolinea a dicembre 2019. A marzo, fa il suo endorsement all’ex vice di Obama con la promessa di fare tutto ciò che fosse in suo potere “per aiutarlo a diventare il prossimo Presidente degli Stati Uniti”.

Ora, dopo anni di battaglie e dopo i tentativi falliti di Geraldine Ferraro e Sarah Palin di raggiungere l’incarico di Vice alla Casa Bianca, lei può, finalmente, godersi la vittoria.

Le sue lacrime di gioia e commozione, condivise sui social dal marito, al momento della conferma della vittoria di Biden su Trump, sono sincere e forti. “We did it, Joe” dice lei al telefono rivolta al collega, con voce impastata dall’emozione. È un istante che cambierà per sempre non solo la sua vita, ma anche il futuro del suo Paese. E tutti gli americani se ne rendono perfettamente conto.

In una campagna elettorale che non ha avuto precedenti – e in elezioni che, fin da subito, si sono dimostrate eccezionali, per affluenza e contestazioni – la vittoria del duo democratico evidenzia con forza l’opposizione che una parte consistente dell’elettorato ha dimostrato nei confronti di Trump.

Si richiede un cambio di passo, una nuova via da percorrere, un nuovo modus operandi. La Casa Bianca, mutando il suo inquilino, non sarà più la stessa e ciò non può non avere conseguenze anche sui rapporti tra Stati Uniti ed Europa.

Non è un caso che l’attuale Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, si sia congratulato con i vincitori, ricordando con le sue parole gli antichi legami che uniscono le due sponde dell’Oceano. Se Godechot, infatti, nel definire le rivoluzioni – americana e francese – del Settecento, le ha chiamate “atlantiche”, la fratellanza, politica oltre che economica, tra l’Unione e il Paese di George Washington è, oggi, più importante che mai.

Come ha avuto modo di sottolineare nel suo discorso Sassoli, mai prima d’ora l’Europa e l’America si erano trovate a fronteggiare un nemico comune – in questo caso, la pandemia Covid-19 – senza un piano o un progetto condiviso. La loro vicinanza, infatti, è sempre stato un elemento essenziale nel panorama geo-politico internazionale e l’isolazionismo, così netto e deciso, di Trump non ha di certo giovato.

Si spera, dunque, che Biden possa creare un nuovo ponte, farsi promotore di un’epoca di concordia e amicizia, anche se lo stesso Presidente neoeletto ha già evidenziato, durante la sua campagna elettorale, che gli Stati Uniti non potranno più farsi carico delle responsabilità europee.

Certo è che i toni del dialogo, ora, muteranno sensibilmente.

E ci si interroga, adesso, su quale sarà il ruolo giocato da Kamala Harris in questa “House of cards”. La sua elezione, infatti, è un elemento di non poco conto per il suo Paese che sempre più, negli ultimi mesi, ha visto violenti scontri tra la popolazione bianca e quella di colore, tra forze dell’ordine e minoranze da proteggere e tutelare contro abusi.

Per usare le parole di Paolo Gentiloni, si tratta di “una giornata indimenticabile per l’Europa e la democrazia”. Una democrazia non solo di nome, ma anche di fatto.

Perché la vittoria della Harris segna solo l’inizio di un percorso. “My mother would look at me and she’d say ‘Kamala, you may be the first to do many things, but make sure you are not the last’”: queste le parole dedicate dalla nuova Vicepresidente degli Stati Uniti a tutte le bambine – di colore e non – che oggi guardano a lei e aspirano a raggiungere incarichi di potere e a giocare un ruolo determinante nella storia statunitense.

Il loro sogno, oggi, è realtà e nel futuro potrà realizzarsi, perché sapranno che gli Stati Uniti sono “a country of possibilities”.

La vittoria di Kamala Harris ha fatto solo da apripista a tali enormi cambiamenti.

Per questo, il suo primo tweet da Vicepresidente eletta ha affermato: “Quest’elezione riguarda molto di più che Joe Biden o me. Abbiamo tanto lavoro da fare. Cominciamo”.

Il vero impegno, dunque, inizia ora. E tale opera di rinnovamento coinvolge gli Stati Uniti, l’Unione europea e il concetto stesso di democrazia.

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