Università e mobilità: storia di un processo

, di Amanda Ribichini

Università e mobilità: storia di un processo

Il rapporto tra Europa e università non si limita al programma Erasmus, è frutto di una storia decennale, con tanti risvolti positivi ma anche tante polemiche. Questa la storia del percorso verso l’armonizzazione degli studi superiori in Europa, dalla Magna Charta Universitatum al discusso Processo di Bologna.

Quando pensiamo alla mobilità internazionale, spesso la nostra mente va direttamente al programma Erasmus, che da 36 anni favorisce l’interscambio di studenti di tutti gli atenei europei. Nonostante questo progetto sia importantissimo, esso non è il solo nelle mani delle università. Oggi ripercorreremo la storia dell’integrazione europea dell’istruzione superiore, concentrandoci sui momenti più salienti.

Il percorso verso l’armonizzazione degli studi superiori in Europa inizia nel 1988, a Bologna, anno in cui l’UniBo sta festeggiando il suo 900esimo anno di attività. In questa occasione, viene enunciata la Magna Charta Universitatum, un documento di due pagine in cui vengono sanciti i principi fondamentali dell’istruzione superiore, come l’autonomia istituzionale e la libertà accademica. Il documento, stipulato dalla Conferenza dei Rettori delle Università Europee, fu inizialmente firmato da 388 rettori. Attualmente, le università firmatarie sono 960, e provengono da 94 Paesi diversi.

Da questa Carta è poi nato, nel 1998, un osservatorio per monitorare le attività e il rispetto dei valori. L’osservatorio, divenuto fondazione nel 2000, si pone oggi come un organo per fornire opinioni e spiegazioni, nonché di proteggere e far rispettare gli obiettivi prefissi nella Carta. Nel 2020, un gruppo di esperti ha provveduto a un aggiornamento di essa, producendo la MCU2020; in questo nuovo documento, oltre a ribadire i valori della Magna Charta primigenia, si fanno i conti su come è cambiato il mondo in questi anni, e si ribadisce il ruolo dell’università come luogo non solo dove vivono certi valori, ma dove avviene anche una attiva ricerca degli stessi.

L’integrazione dell’istruzione superiore vive una svolta incredibile nello stesso anno, il 1998, con la Dichiarazione della Sorbona. Questa dichiarazione è frutto di una conferenza, avvenuta nella prestigiosa università parigina, che ha visto partecipi i Ministri dell’Istruzione di Francia, Germania, Gran Bretagna ed Italia (Luigi Berlinguer). Il titolo della Dichiarazione è “L’armonizzazione dell’architettura dei sistemi di istruzione superiore in Europa«. In questo discorso, i Ministri si impegnano a continuare a favorire la mobilità internazionale attraverso “uno spazio europeo dell’istruzione superiore, in cui le identità nazionali e gli interessi comuni possano interagire e rafforzarsi l’un l’altro a beneficio dell’Europa“. In particolare, esso dovrebbe favorire non solo gli studenti ma anche i docenti, agevolando la procedura con l’equiparazione dei semestri e dei crediti attraverso il metodo ECTS (European Credit Transfer System). Il discorso si conclude con un appello agli altri Paesi Membri »affinché si uniscano a noi in questo obiettivo ed alle Università europee, affinché consolidino il ruolo dell’Europa nel mondo, migliorando ed aggiornando continuamente la formazione dei suoi cittadini”. Con questa dichiarazione ha ufficialmente inizio il processo di Bologna.

All’invito dei quattro Ministri hanno infatti risposto tutti gli Stati europei, che si ritrovano a Bologna nel 1999. Nel capoluogo emiliano venne stabilito l’obiettivo finale del processo: costituire, entro il 2010, il SEIS (Spazio Europeo di Istruzione Superiore). Per arrivare a questo risultato, era necessario arrivare a una standardizzazione tra gli stati dei cicli di studio e del sistema dei crediti. Tramite questo spazio condiviso e armonizzato di studio, l’Europa sarebbe diventata così più competitiva nel mercato del lavoro internazionale.

L’accordo non è vincolante per gli Stati partecipanti, e sono presenti molte discrepanze nella spesa statale, elemento che causa una certa difficoltà nell’armonizzazione. Anche per colpa della crisi economico-finanziaria del 2008, una parte degli obiettivi del SEIS non sono stati rispettati; per questo il processo resterà aperto, fino a quando non si riuscirà ad arrivare a un’armonizzazione più completa.

Ad oggi, gli Stati firmatari del Processo di Bologna sono 48 (i Paesi dell’UE più quelli confinanti con l’Unione).

Dopo aver analizzato le varie tappe del processo di Bologna, è importante sottolineare come esso non sia stato del tutto esente da critiche.

In Italia, per esempio, il processo di Bologna ha dato l’impulso per un adattamento dell’istruzione superiore, creando il modello 3+2, proprio per facilitare un accesso nel mondo del lavoro anche dopo la triennale (entrato poi in vigore nel 2008). Questo ha creato un certo movimento di piazza studentesco, in cui si condannava la mercantilizzazione dell’istruzione superiore. Inoltre, è necessario sottolineare che, nonostante il cambio di cicli sia avvenuto abbastanza rapidamente, non è accaduto lo stesso con l’incremento di fondi per l’istruzione superiore: il nostro Paese dal 2010 al 2018 ha ridotto gli investimenti verso le università del 19%. Attualmente, l’Italia investe nell’educazione terziaria il 0,3% di PIL, la più bassa in Europa [1].

In Spagna ci sono state furiose proteste, con blocchi ferroviari, occupazioni e interruzioni di riunioni accademiche, al grido di “queremos becas, no hipotecas”. Le proteste generali a Madrid hanno visto anche 10.000 studenti scendere in piazza per quella che loro considerano “una privatizzazione dell’università”. Essi sostenevano che in Spagna il Processo di Bologna avrebbe portato le università a dover cercare finanziamenti privati secondo le loro possibilità, e quindi alla capacità di “vendersi” al miglior offerente. In generale, il modello “Grado-Posgrado” (in nostro 3+2) a loro parere rendeva inutile la prima laurea, creando una certa precarietà educativa soprattutto tra le facoltà umanistiche.

In Francia, le proteste sono arrivate un anno dopo, nel 2009, a seguito dell’entrata in vigore di una legge che incentivava la struttura gerarchica dell’università, attribuendo ancora più potere in mano ai presidi. Inoltre, il Governo aveva apportato una modifica al sistema di finanziamento, che favoriva largamente le imprese. La legge ha provocato un’ondata di scioperi da parte di studenti e ricercatori, contro un sistema che li mercifica e li condanna alla precarietà.

In generale, ciò che viene criticato è una trasformazione delle università in “imprese”, in fabbriche per produrre lavoratori più che in luoghi di conoscenza. Secondo le critiche, per colpa del processo di Bologna le industrie hanno avuto la possibilità di plasmare le università come se fossero una mera risorsa nella quale attingere, a scapito della ricerca di base e delle facoltà umanistiche.

Per concludere, si può dire che il Processo di Bologna sia stato senza dubbio essenziale per favorire la mobilità degli studenti, e in questi anni ha prodotto senz’altro un contagio di idee molto forte e una possibilità di muoversi incredibile. Dall’altra parte, le proteste ci fanno capire come una riflessione sul mondo dell’istruzione di oggi è necessaria. L’università, e quindi per estensione, la conoscenza e la ricerca di base, sono un fine, o un mezzo a servizio della produttività? e se fosse un mezzo, possiamo permetterci che esso venga plasmato direttamente dal fine?

Note

[1Dato del 2019, “Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione 2019, Italia”, Commissione Europea

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