In seguito alla sconfitta della coalizione del centro-sinistra alle ultime elezioni politiche, il segretario del Partito Democratico Enrico Letta annunciò la decisione di procedere ad un rinnovo delle cariche interne al partito. Nell’ambito del congresso tuttora in corso e volto a tale scopo, le componenti e i componenti dell’Assemblea costituente - allestita, per l’appunto, in occasione della corrente fase congressuale - hanno dato vita, il 21 gennaio 2023, al Manifesto per il nuovo PD “Italia 2030”: un documento di 13 pagine di testo (15 in totale) finalizzato a dotare di una base valoriale coraggiosa e fissa, definita in modo chiaro (seppur fortemente generale) e posta al riparo dalla fluidità degli orientamenti e dai conflitti correntistici, un’organizzazione politica storicamente nota per i suoi continui mutamenti ideologici e per le sue collusioni con i simboli, gli ideali e i mantra che sovente invoca; un manifesto identitario, che consenta al partito di cessare di essere quel marasma confusionario di idee spesso fra loro contrastanti alla cui malagestione, con concorrenza di altri fattori, si può ascrivere la responsabilità - nonostante l’essenzialità del pluralismo delle opinioni per il mantenimento della democrazia (non è qui in discussione il pluralismo in sé - che anzi, con una gestione ottimale, può esser capace, animando e alimentando il dibattito interno, di mantenere un qualunque organismo sociale vivo e di dotarlo della dinamicità e della flessibilità necessarie per mantenersi al passo con i cambiamenti della società - bensì l’assenza di un suo coordinamento unitario, uniforme, coerente e stabile) - del fallimento politico di tutti i movimenti socialisti e liberal-progressisti del nostro Paese.
Tale Manifesto è una presa di coscienza, un momento di riflessione in cui avviene la constatazione ultima - fuori da ogni ipotesi di appiattimento o messa in secondo piano - dell’urgenza di affrontare in modo coraggioso i grandi problemi del nostro Paese e del nostro mondo, dal cambiamento climatico alle ingiustizie sul lavoro, e dalla crisi della democrazia e dei corpi intermedi alle discriminazioni sulla base del genere, dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale; allo stesso modo, oltre ad incarnare le preoccupazioni delle giovani generazioni e ad affermare con forza quanto chi ancora oggi ha coraggio di smentire (vedasi le climascettiche e i climascettici, le negazioniste e i negazionisti dell’omobitransfobia, ecc. ecc.), “Italia 2030” rappresenta anche, in linea con la sua definizione di manifesto e con lo spirito di non fermarsi alla teoria ma di cimentarsi anche nell’azione che caratterizza l’anima di questo congresso costituente, un elenco programmatico - generale - delle vie da percorrere per far fronte a tali problemi. E tra queste vie - in piena coesione e sintonia con gli ideali di progressismo, ecosocialismo e transfemminismo che accompagnano (seppur talvolta in maniera blanda e leggera) tutto il documento - trova la sua presenza anche il progetto di un’Europa unita per come concepito nel Manifesto di Ventotene.
Ma un piccolo passo indietro. Il Partito Democratico ha avuto fin dalla sua fondazione nel 2007 una forte anima europeista, che con il succedersi delle varie segreterie - oltre che all’interno delle varie correnti - si è sviluppata talvolta in modi distinti e discontinui, talaltre volte in idee e progetti comuni. Pier Luigi Bersani si affacciò alla questione europea con l’ipotesi di un federalismo solidale: un’Europa unita sul fronte finanziario e fiscale ma anche sulle tematiche concernenti il welfare e la tutela dell’ambiente, ovvero un’Europa più attenta alla protezione sociale e alla solidarietà fra gli Stati membri, con ipotesi pratiche come un fondo europeo per l’occupazione finanziato attraverso una tassa europea sulle transazioni finanziarie (idea ancora in attesa di essere concretizzata); dopo la segreteria Bersani, quella di Renzi si è concentrata sulla realizzazione (mancata) di un’Europa più pragmatica, maggiormente vicina ai cittadini con proposte di riforma del sistema elettorale e più flessibile dal punto di vista fiscale, in particolare per quanto riguarda i deficit di bilancio degli Stati membri (proposta suscettibile di far perdere all’UE stabilità economica e credibilità); Zingaretti, dopo la sconfitta alle elezioni europee del 2019, si lanciò - insieme al compagno David Sassoli, la cui buona memoria potrebbe, in questo periodo così buio, schiarire il paesaggio e infondere un po’ di luce - in una battaglia all’ultimo respiro - poi destinata a perdere, vedasi l’esito delle ultime elezioni politiche - contro i sovranismi di tutte le vesti e di tutti i colori (l’ex verde poi blu della Lega in particolare), con proposte riguardanti la riforma del trattato di Dublino sulla gestione dei flussi migratori (riforma ancora oggi non compiuta né voluta) e l’introduzione di una carbon tax europea (oltre che su petrolio e gas) con cui finanziare misure a sostegno della transizione green; infine, Enrico Letta ha avanzato, fra il resto, l’ipotesi di una modifica al patto di stabilità e, a seguito dell’inizio del conflitto in Ucraina, quella di una definitiva svolta federalista, con anche una confederazione per i Paesi vicini e/o non ancora pronti per la federazione (sull’onda del modello a cerchi con cui, vedasi Euro e Schengen, abbiamo già da tempo familiarità).
Sulla linea dell’orientamento generale - qui riassunto in piccolissimi ed esilissimi punti - finora seguito dal Partito Democratico - e dalle sue segreterie di maggior rilievo, sopra menzionate - in merito alla questione europea, anche il Manifesto per il nuovo PD, come accennato in incipit, assume posizioni apertamente ed esplicitamente federaliste, rinvigorendo, rafforzando e riaffermando ancora una volta - e con maggiore enfasi - una delle poche posizioni del PD rimasta - per come visto sopra - storicamente invariata nella sua essenza. Rafforzamento e riaffermazione inequivocabilmente indispensabili a fronte dell’avanzare di una destra sovranista che non vuole l’Europa, di un’altra destra comunque sovranista ma che, pur tollerando l’Unione Europea, reclama “l’Europa delle patrie” dove il diritto nazionale sia superiore a quello eurounitario, e di una certa sinistra antiatlantista e antieuropeista (sebbene si possa essere antiatlantisti ed europeisti, rafforzando con quest’ultima caratteristica, per certi versi, anche la prima - concezione alla quale evidentemente talune o taluni non giungono) che rigetta l’UE perché incarnazione del capitalismo statunitense (quando in realtà l’UE nel suo complesso, in un amaro dal tono dolce e dunque comunque gradevole, riflette i modelli dello Stato sociale e dell’economia mista - cosa certamente ben diversa dagli USA - da cui comunque subiamo una forte influenza, in tutti i sensi); a fronte del crescere di queste forze, rafforzare e riaffermare il federalismo europeo come lanterna guida del Partito Democratico è fondamentale per, da un lato, evitare che le insidie degli estremismi esterni si riversino dentro il partito - deviandolo dalla sua linea di forse ultimo e unico grande (perché di piccoli ce ne sono) difensore dell’idea di un’Europa sociale, giusta e federale - e, dall’altro, per rilanciare l’ideale federalista tra le elettrici e gli elettori di massa in un momento - come quello attuale - dove il federalismo militante apartitico si trova privo di forze ed energie sufficienti ad una battaglia di grande portata come quella richiesta dalle circostanze (la discussione sulla necessità di riattribuire alla militanza apartitica il monopolio della promozione del federalismo si fonda certamente su basi valide e non viene qui contestata o invalidata a priori; viene riconosciuto che, in questo momento di crisi, un ausilio esterno potrebbe rivelarsi strategicamente efficace), e dove le dimensioni partitiche concentrate sul federalismo e già da tempo affermate sono in realtà insignificanti per stazza e peso politico.
Ed è dunque, come si accennava, partendo dal Manifesto di Ventotene - menzionato nella quarta pagina (terza se si esclude la copertina) del Manifesto per il nuovo PD - che il partito prova a ricostruire e ricomporre una sua identità, e nel farlo - per ciò che concerne la questione europea; dell’approccio alle altre tematiche si potrebbe discorrere molto criticamente - non adotta stili moderati e contenuti, bensì invoca esplicitamente la federazione europea - sull’onda del, come si diceva sopra, già sperimentato modello a “meccanismi di integrazione differenziata” - e reclama la creazione di un esercito europeo “con autonomia strategica e operativa”, di pari passo con la concessione all’UE di un seggio presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Procedendo poi con l’analisi della necessità di istituire un’Europa “equa ed equilibrata, fondata su standard sociali e ambientali di alto livello” e di adottare “politiche strutturali e lungimiranti di governo solidale del fenomeno migratorio, fondate sul rispetto della dignità della persona e sull’integrazione” - assunzione estremamente generica (forse troppo) ma, vista la complessità della vicenda, senz’altro prudente -, nel documento oggetto di questo articolo, a riguardo della politica estera, non si manca di riconoscere - sorprendentemente uscendo dall’ottica del mondo bilaterale in cui talune e taluni, in determinati ambienti, sono confinate e confinati - nel contesto di attuale crisi delle relazioni internazionali, il bisogno di “costruire un sistema multilaterale profondamente rinnovato, che abbia inclusione e pragmatismo tra i suoi punti cardinali”, così da avere gli strumenti per affrontare in maniera efficace e funzionale, nello spirito della collaborazione globale e del dialogo al di là degli interessi individuali e lontani dagli schemi di alleanze contrapposte, le grandi crisi globali del nostro tempo (vedasi il cambiamento climatico, il terrorismo, Internet e la questione del commercio dei dati personali, la pandemia o la sanità - fisica e mentale - più in generale, ecc).
Al di là di “Italia 2030”, la questione europea vede ricevere approcci federalisti più o meno espliciti e più o meno radicali anche dalle mozioni - che per tematiche generalmente si equivalgono, ad eccezione di pochi punti focali o minime differenze (per certi versi comunque di rilievo) - di tutte le candidate e di tutti i candidati alla segreteria del partito, con spinte più dirette - a detta di chi scrive - da parte di Elly Schlein e Gianni Cuperlo. Ad ogni modo, a fronte di una base valoriale - quella appena studiata, seppur sommariamente - sancita dall’assemblea costituente allestita nell’ambito del congresso, e in considerazione della già trattata fedeltà storica del partito all’europeismo e in alcuni casi al federalismo europeo, è ben chiaro che la partita interna in questa fase non riguarda se essere per l’Europa unita o meno o quale via intraprendere per concretizzare tale disegno, né si palesa come rinchiusa nei confini dell’approccio alla questione europea; per un Partito Democratico che lotti per un’Europa sociale, giusta e federale e che incentri tutte le sue forze - anche e soprattutto cogliendo l’intersezione con le lotte a questa affini - e tutte le sue energie su ciò - specialmente in vista delle prossime elezioni europee - la sfida da superare è la sfida più generale che il partito tutto è chiamato ad affrontare in questa delicata fase congressuale: quella di uscire dall’immobilismo e dalla stagnazione generati dalle correnti accentratrici di potere e poltrone e di rinascere dall’incontro e dallo scontro che, confluendo in un punto medio rappresentativo di tutte le pluralità della comunità, consentano di istituire un’organizzazione dinamica, aperta, libera e che abbia come uniche padrone e unici padroni le iscritte e gli iscritti.
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