Il titolo di questo commento è tratto da un articolo, con lo stesso titolo, scritto nel 1943 da Judah Magnes, Rettore dell’Università ebraica di Gerusalemme, per Foreign Affairs, in cui proponeva una federazione regionale. Esso è la testimonianza che vi era un progetto politico che le menti arabe ed ebraiche più lucide avevano cercato di portare all’attenzione mondiale, perché presagivano con chiarezza le conseguenze che sarebbero derivate da una mancata soluzione politica del problema palestinese. La sua attualità sta nel fatto che il conflitto in corso continua a riproporre l’alternativa tra una sempre più devastante guerra regionale che rischia di allargarsi e il progetto di Magnes.
L’efferato atto terroristico di Hamas del 7 ottobre dello scorso anno, e la sproporzionata reazione israeliana che ha provocato sono solo le più recenti conseguenze delle tragiche previsioni di allora. Esse oscurano, però, le ragioni politico-culturali profonde del conflitto che oppone lo Stato di Israele ai palestinesi e, pertanto, le responsabilità che l’Europa ha nei confronti di questa parte del mondo. Sono responsabilità che vanno individuate nella storia europea a partire dalla seconda metà del XIX secolo e fino alla prima metà del XX. Abbraccia pertanto il periodo in cui si esaurisce la fase positiva del richiamo alla nazione come mezzo per dare al popolo lo Stato (“fino a che lo Stato è del 5% della popolazione, non sarà mai stabile”, affermava Mario Albertini, riferendosi alla storia europea) e quello in cui la politica di potenza degli Stati europei tocca il suo apice e trasforma il richiamo alla nazione in nazionalismo. Quest’ultimo diventa quindi l’ideologia su cui si fonda la legittimità di un tipo di Stato storicamente determinato e che quindi, come ha avuto un inizio, può anche avere una fine: lo Stato nazionale, burocratico ed accentrato inteso come comunità politica esclusiva che, al suo interno, pretende la fedeltà assoluta dei suoi cittadini e non ammette nessuna differenza di lingua, cultura, o religione: il nazionalismo europeo si trasformerà presto in razzismo.
È questo il clima politico-culturale in cui matura l’ideologia sionista, fondata sul nazionalismo e descritta in termini molto duri da Hannah Arendt [1]. Infatti, il nazionalismo europeo si è trasformato in una cultura politica che si è diffusa nel resto del mondo ed ha costituito anche il contesto in cui è maturato il progetto di Theodor Herzl della creazione di uno Stato ebraico che, inizialmente previsto in una delle colonie delle potenze europee, è poi stato istituito nella Palestina del Mandato britannico. Il progetto, basato sull’istituzione di una comunità politica esclusiva, si è rivelato funesto non solo per il popolo arabo, ma anche per lo stesso popolo ebraico. Con riferimento a quest’ultimo, oltre alla Arendt, anche la corrente storiografica nota come “nuova storiografia israeliana” non ha mancato di farlo notare. Ilan Pappé, storico ebraico, anti-sionista, esponente di spicco di questa corrente, ha recentemente riaperto il dibattito sul controverso “Piano Dalet”, che ha portato all’esodo della popolazione palestinese al momento della nascita dello Stato di Israele, parlando esplicitamente di “pulizia etnica” [2].
Arendt ricorda che già nel corso della prima metà del XX secolo ci sono state ripetute iniziative arabo-israeliane che avrebbero potuto incanalare i rapporti tra israeliani e palestinesi “in istituzioni politiche costruttive” [3]. Una di queste iniziative è quella menzionata sopra di Magnes. Egli criticò sia l’idea di uno Stato arabo con qualche diritto riconosciuto alla minoranza ebraica che quella di uno Stato ebraico con qualche diritto riconosciuto alla minoranza arabo-palestinese. L’obiettivo, secondo Magnes, non era quello di istituire una comunità politica unitaria (Stato o Commonwealth) che raccogliesse al proprio interno popolazioni di diversa cultura, lingua o religione, bensì quello di istituire una federazione tra Israele, Libano, l’allora Transgiordania e Palestina. Il progetto istituzionale non era pertanto quello dello Stato nazionale di stampo europeo, bensì quello americano di un’unione federale tra più Stati.
Essendo stata abbandonata quest’ultima prospettiva, la situazione in Medio Oriente, si è ulteriormente complicata: alle esistenti tensioni locali, si è aggiunto lo scontro tra le potenze mondiali interessate all’area e la radicalizzazione religiosa di molti degli attori coinvolti. Si sono, cioè verificate le più tristi previsioni dell’epoca. A questo va anche aggiunto il fatto che oggi il quadro mondiale si è modificato. Sono comparsi nuovi protagonisti della politica mondiale, gli USA, cui Israele ha affidato la propria sicurezza, si sono indeboliti.
Negli ultimi mesi, l’idea di istituire due Stati sta raccogliendo un consenso crescente, così come sta aumentando il numero di Stati che riconoscono lo Stato palestinese. Tra di essi vi sono nove Stati dell’UE: Bulgaria, Cipro, Irlanda, Polonia, Romania, Slovacchia, Spagna, Svezia e Ungheria. Tuttavia, poiché non sembra realistico che questo basti a porre fine al secolare conflitto, si sta anche facendo strada l’idea di una successiva federazione tra i due Stati. Quest’ultima, però, se si tratta di istituire un’unione federale tra due soli Stati, per ragioni evidenti, non può funzionare. Occorrerebbe, piuttosto, ripartire dalla proposta di Magnes, l’unica prospettiva su cui lavorare, in vista di un suo ulteriore allargamento, come era anche negli auspici, sia pure per il lungo termine, di Aubrey “Abba” Eban.
In questo contesto, l’UE può prendere l’iniziativa e dichiarare la propria disponibilità per un piano composto di due misure: la messa a disposizione, assieme ad altri paesi, di una forza militare per la sicurezza dei confini dei due Stati; il rilancio della proposta che Jacques Delors aveva presentato al Centre Europeen Juif d’information di Bruxelles, nel novembre 1993 (due mesi dopo gli accordi di Oslo), di dar vita ad istituzioni comuni per la gestione delle risorse idriche, dell’energia e delle infrastrutture. Essa voleva anche dar seguito a quanto accennato da Shimon Peres nel corso di un’intervista a Le Monde, rilasciata alcuni giorni prima. Peres accennava alla possibilità di dar vita ad un mercato comune regionale e Delors sosteneva che questa prospettiva necessitava però, come per il precedente dell’UE, di realizzazioni concrete, per dar vita ad “una solidarietà di fatto”.
Ci si è qui limitati a riprendere una serie di proposte che si sono succedute nel tempo, aggiungendo che chi può prendere l’iniziativa di rilanciarle è l’UE, i cui Stati membri, con la fondazione dell’UE, hanno avviato il processo di superamento dello Stato nazionale come forma esclusiva di associazione politica. Essa, però, non può essere il solo attore, perché un’iniziativa che provenisse dall’”Occidente” non potrebbe più essere accettata: dovranno essere coinvolti - nel quadro delle istituzioni multilaterali -, anche rappresentanti di quello che oggi viene chiamato “il Sud globale”. Può sembrare un progetto impossibile, ma si possono ricordare due precedenti: il primo, di Altiero Spinelli che, quando le truppe naziste erano già entrate a Parigi, ebbe il coraggio intellettuale di pensare e scrivere il “Manifesto per un’Europa libera ed unita”, cioè il programma politico per una federazione europea; il secondo è la riunione tenutasi a Bretton Woods, mentre la guerra era ancora in corso, con la quale si sono progettate le prime istituzioni multilaterali. Non è dunque impensabile che tra palestinesi ed israeliani emerga un analogo coraggio, soprattutto se sostenuto da una forte iniziativa dell’Unione europea.
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