Vicinato est: tempo di cambiamenti nella diplomazia dell’UE

, di Agnieszka Widlaszewska, tradotto da Benedetta Bavieri

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Vicinato est: tempo di cambiamenti nella diplomazia dell'UE
Josep Borrell, Alto Rappresentante dell’UE Fonte: Parlamento Europeo/Pietro Naj-Oleari (CC-BY-4.0)

Il vicinato est dell’Unione Europea continua a non rivelarsi esattamente la prospera e pacifica “cerchia di amici” auspicata dalla Commissione al momento della creazione della politica europea di vicinato (PEV) nel 2003. Uno dopo l’altro, i Paesi che ne fanno parte sono scossi da guerre e da proteste massicce contro l’autoritarismo, la corruzione e i brogli elettorali (per citare solo alcune problematiche).

Eccezion fatta per il forte sostegno dimostrato verso l’Ucraina dopo il 2013, l’Unione Europea è stata sempre meno coinvolta negli sviluppi recenti, in particolare in Bielorussia, nel Nagorno-Karabakh e in Russia. Colpisce in particolare la mancanza di un dialogo tra l’UE e quest’ultima, nonostante si tratti di un attore fondamentale nella regione. Se l’Unione vuole contribuire al mantenimento della pace nel suo vicinato sarebbe necessaria una presa di posizione più forte, impegnandosi maggiormente dal punto di vista diplomatico e facendo leva sulla propria influenza, anche nel campo della sicurezza.

Da tutto a niente

La crisi in Ucraina ha segnato l’apice del coinvolgimento dell’Unione al di là del suo confine orientale. Il nuovo governo locale ha ricevuto un sostegno finanziario di diversi miliardi di euro e il paese ha visto l’arrivo in visita di un alto funzionario dell’UE dopo l’altro. Nonostante tutti gli sforzi, dopo sette anni l’Ucraina è ancora ben lungi dall’essere un Paese completamente democratico, libero dal controllo degli oligarchi e da una diffusa corruzione ad alto livello. Il mancato successo su questo fronte sembra aver reso l’Unione europea più cauta per quanto riguarda altri sviluppi nella regione

In Bielorussia, l’UE non ha quasi reagito a mesi di proteste e, dopo aver espressamente sostenuto i manifestanti e la loro leader in esilio Sviatlana Tsikhanouskaya, ha adottato (non senza difficoltà interne) una serie di sanzioni dagli effetti potenziali discutibili. Inoltre, la Commissione ha annunciato un pacchetto di aiuti finanziari pari a 53 milioni di euro, una cifra che impallidisce in confronto ai miliardi destinati all’Ucraina. Nessuna di queste misure ha finora aiutato a porre fine allo stallo politico in Bielorussia.

Al contrario di quest’ultimo approccio, relativamente proattivo, la reazione dell’UE alla guerra in Nagorno-Karabakh è stata un vero e proprio silenzio stampa. L’argomento è stato quasi assente nelle discussioni a livello dell’Unione e le dichiarazioni rilasciate, in particolare dall’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, sono state solo una ripetizione delle formule standard della Commissione.

Fatta eccezione per gli aiuti umanitari, l’Unione europea non si è impegnata direttamente nella risoluzione del conflitto. Ha invece fortemente insistito affinché il Gruppo di Minsk dell’OSCE fosse a capo di tutti i negoziati, nonostante lo stesso Borrell abbia ammesso che negli ultimi 30 anni il Gruppo non ha ottenuto molti successi. Pare anzi che Stati Uniti e Francia, alla co-presidenza del Gruppo di Minsk, siano stati coinvolti solo indirettamente, e che sia stata la Russia, terza co-presidenza, ad aver effettivamente negoziato l’accordo di cessate il fuoco del 9 novembre.

Una simile mancanza di impegno significativo si ritrova nei confronti dell’avvelenamento di Alexei Naval’niy e della recente ondata di proteste a seguito del suo arresto in Russia. Nonostante l’Unione europea abbia condannato a gran voce l’arresto di Naval’niy e di un gran numero di manifestanti durante le proteste, nessuna azione concreta pare aver seguito questa indignazione.

Non c’è diplomazia senza dialogo

I casi citati precedentemente sono molto diversi ma hanno due cose in comune. In primo luogo, il ruolo chiave della Russia e, in secondo luogo, l’influenza sempre minore dell’UE, a causa di un gioco diplomatico privo di forza e della sua mancanza di dialogo con la Russia. Se l’Unione vuole (ri)guadagnare una posizione forte nella regione, dovrebbe applicare maggiormente la cosiddetta «diplomazia dura», ovvero un impegno diplomatico al vertice coerente, sia con la Russia che con i Paesi del partenariato orientale (PO), potendo contare sulla sua solida influenza.

Allo scoppio della guerra del Donbass, l’UE ha ridotto i suoi contatti ufficiali con la Russia: l’ultimo vertice UE-Russia ha avuto luogo nel 2014 e l’ultima visita ad alto livello a Mosca è stata quella dell’ex-Alto Rappresentante Federica Mogherini nell’aprile 2017. Tuttavia, anche se un simile ostracismo diplomatico potrebbe funzionare a livello di dichiarazione pubblica, non porta alcun beneficio pratico. Infatti, il fatto che le due parti smettano di parlare del tutto non fa che precludere la ricerca di soluzioni diplomatiche: la cosa migliore che l’Unione può fare è persistere nella ricerca di un coinvolgimento.

Inoltre, Borrell è il terzo Alto Rappresentante consecutivo privo di una sostanziale esperienza precedente nelle relazioni con la Russia o nella politica dell’Europa orientale in generale. Sarebbe auspicabile, in futuro, vedere in questo ruolo qualcuno con più interesse ed esperienza nella regione: qualcuno dalla Scandinavia, magari, o una persona proveniente dall’Europa centrale con un atteggiamento moderato verso la Russia (per quanto possibile).

L’incontro fra Borrell e il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov a Mosca ha lanciato un segnale positivo: anche se dare priorità a Paesi con i quali l’Unione e i suoi membri hanno avuto relazioni turbolente sarà sempre considerato controverso, questo potrebbe ripagare durante i futuri confronti che probabilmente sorgeranno. Stabilire contatti personali, in particolare in un Paese fortemente gerarchizzato come la Russia, è fondamentale.

Sarebbe necessario stabilire dei contatti diretti anche con altri leader della regione, incluso Lukashenko. Quest’ultimo, che all’Unione piaccia o no, non è chiaramente disposto a cedere alle richieste dei manifestanti. A meno che il suo apparato di sicurezza non gli si rivolti improvvisamente contro, l’unica soluzione è quella di indurlo in qualche modo a riconsiderare la sua posizione. Qualsiasi sviluppo significativo è improbabile senza il contributo della Russia: se l’UE vuole essere parte della soluzione è quindi necessario un impegno diplomatico trilaterale.

La mancanza di un dialogo coerente con la Russia e il nascondersi dietro lo schermo di fumo del Gruppo di Minsk dell’OSCE sono entrambi fattori che hanno contribuito a lasciare in disparte l’Unione durante la guerra del Nagorno-Karabakh. A dicembre, Borrell si è lamentato della collaborazione in atto tra Russia e Turchia per cercare di risolvere i conflitti regionali, un processo che l’Alto Rappresentante ha definito «Astanizzazione» (riferendosi al formato Astana sulla Siria). Secondo Borrell, questo «porta all’esclusione dell’Europa» dalla risoluzione dei conflitti. Tuttavia, ciò non suona tanto come la causa dell’esclusione dell’Europa, quanto piuttosto come un effetto di altri fattori che consentono invece a Russia e Turchia di essere coinvolte con maggior successo. La domanda è: quali sono questi fattori?

Far seguire alle parole i fatti

Un aspetto cruciale è che l’UE può far leva sulla propria influenza. Gli accordi commerciali e il sostegno alle riforme democratiche non sono sempre sufficienti. Una delle principali preoccupazioni di tutti i paesi del PO è la sicurezza e l’Unione Europea deve includerla tra gli strumenti a sua disposizione. Ma deve anche dare ai suoi rappresentanti un chiaro mandato per usare tali strumenti.

Questo non significa necessariamente usare argomentazioni militari. Per quanto riguarda la Bielorussia, l’UE potrebbe giocare sulla paura di Lukashenko che la Bielorussia sia effettivamente assorbita dalla Russia. Potrebbe anche sviluppare un’offerta globale per la società civile e la gioventù bielorussa (regime di esenzione dal visto, sostegno all’educazione, un consistente sostegno finanziario), e giurare di usarla se le richieste dei manifestanti non dovessero essere soddisfatte. Nel confronto con la Russia, fare leva sull’aspetto economico, come il sempre controverso Nord Stream 2, potrebbe essere un argomento forte.

Per quanto riguarda i Paesi con cui l’UE ha un rapporto di cooperazione più stretto, l’Unione potrebbe offrire loro un ampio sostegno nello sviluppo delle loro capacità militari e di difesa. Questo potrebbe andare contro l’immagine di soft power dell’UE, ma la nuova spinta dell’Unione verso il raggiungimento dell’autonomia strategica richiede che tali strumenti siano messi sul tavolo.

Un tale cambiamento inciterebbe senza dubbio la resistenza della Russia, ma è qui che entra in gioco uno stretto impegno diplomatico. L’obiettivo dell’Unione Europea dovrebbe essere quello di assicurare la pace e la stabilità, convincendo la Russia che non è nell’interesse di nessuna delle due parti persistere in uno stato di crisi costante nel vicinato. Per la Russia, tale scenario implicherebbe costose operazioni multidirezionali e una potenziale resistenza interna (un argomento che potrebbe far presa, soprattutto ora). Per l’Unione, si tradurrebbe in un rischio costante per la propria sicurezza e in un fallimento della sua politica di vicinato. Con argomenti giusti e credibili a portata di mano, l’UE sarebbe in grado di negoziare il mantenimento dell’equilibrio. Senza di essi, la regione rimarrà probabilmente in un limbo.

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