La Francia fa nuovi progressi nel campo dei diritti umani

Vietate le terapie di conversione in Francia

, di Sofia Masullo

Vietate le terapie di conversione in Francia

Passa senza alcun voto contrario la legge francese che vieta le terapie di conversione per le persone LGBT, con quarantuno anni di ritardo rispetto a quella che vedeva scomparire l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. Un intervento legislativo importante ma, per l’Italia, ancora “non prioritario”.

La sera del 25 gennaio 2022 il Parlamento francese ha ufficialmente vietato le terapie di conversione per le persone transgender, omo e/o bisessuali, deputate a “correggere”, “curare” e quindi modificare il loro orientamento sessuale e/o l’identità di genere (il disegno di legge n˚3030 era già stato presentato il 23 marzo 2021). La bozza di legge ha ottenuto 142 voti a favore e zero contrari: è stato dunque un voto unanime, consentendo al Parlamento di rendere legge quanto già approvato a dicembre dal Senato.

La legge è stata presentata da Laurence Vanceunebrock, Deputata di La République En March (LREM, il partito del Presidente francese Emmanuel Macron), la quale ha dichiarato che nessuno potrà più pretendere di essere in grado di curare le persone LGBT e ha condannato formalmente coloro che considerano la non eterosessualità e il cambio di sesso e/o genere una malattia. La legge francese prevede pene fino a due anni e 30.000 euro di multa per chiunque pratichi le terapie di conversione forzata (la multa aumenta a 45.000 euro con la reclusione fino a quattro anni, nel caso in cui a essere coinvolti siano minori o soggetti particolarmente vulnerabili).

Secondo Élisabeth Moreno, Ministra per le Pari Opportunità francese, la formalizzazione di tale legge, e la sua introduzione nel Codice Penale, incoraggerà le vittime a sporgere denuncia tempestivamente ai commissariati di Polizia.

Nel 1981 la Francia aveva ufficialmente eliminato l’omosessualità dalla lista delle condizioni psichiatriche, demolendo legalmente la tesi a sostegno dell’omosessualità come malattia mentale da curare. Ma nulla si era detto o fatto a proposito delle terapie di conversione, e allora non esistevano leggi che ne vietassero la pratica.

A proposito delle terapie di conversione

Le terapie di conversione, dette anche “terapie correttive”, consistono spesso in elettroshock, sedicenti sedute psicologiche, terapie d’urto, abusi fisici ed esorcismi, poiché spesso le vittime di queste terapie fanno parte di comunità religiose. Sono fondate sul un presupposto di eteronormatività, secondo cui l’unico orientamento sessuale possibile (e soprattutto accettabile) sia l’eterosessualità: tutto il resto è considerato frutto di un errore, che dunque si può e si deve eliminare e correggere. Sono però prive di qualunque fondamento scientifico e si basano dunque su teorie del tutto infondate, contribuendo a produrre effetti devastanti sulla salute psicofisica di chi ne è vittima.

Alcuni esempi sono: ansia, depressione, bassa autostima, aumento del senso di colpa, disturbi della personalità, isolamento e difficoltà nelle relazioni sociali e sessuali, maggiori possibilità di contrarre malattie sessualmente trasmissibili (MST) o di usare droghe pesanti, oltre a compromissione delle relazioni familiari. Proprio tra le mura domestiche si registrano i più alti tassi di intolleranza e discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e/o dell’identità di genere, specie laddove si difende con ostinazione l’ideale tanto decantato quanto effimero della famiglia tradizionale. Un altro fattore preoccupante è l’aumento del minority stress, ossia il disagio interiore vissuto da chi si trova in una situazione di minoranza e di stigma sociale.

Grandi istituzioni come ONU, OMS e Amnesty International hanno ufficialmente vietato le terapie correttive, mentre in altri Paesi sono considerate tuttora valide, e quindi ancora legali. La Francia si è così unita ad altri Stati europei (Germania, Malta, Albania e alcune comunità spagnole) ed extraeuropei (Brasile e Canada) nella continua lotta per garantire i diritti della comunità LGBTQ+, e soprattutto si muove sempre più verso politiche europeiste.

E l’Italia?

Non se ne parla nemmeno.

L’Italia resta tra gli altri 68 Paesi che ancora non hanno una legge a tal proposito. Le terapie di conversione sono vietate dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, ma vengono ancora praticate. Non è noto il numero delle vittime, poiché si tratta ancora di un fenomeno sommerso, ma secondo la Società Italiana di Andrologia il 10% delle persone LGBT (soprattutto i più giovani) è vittima di terapie volte a “correggere” l’orientamento sessuale e/o l’identità di genere.

Nel 2016 Sergio Lo Giudice (ex Senatore del PD, ex Presidente di Arcigay e attualmente membro della giunta del nuovo sindaco di Bologna Matteo Lepore) ha promosso un ddl che prevedeva una pena fino a due anni di carcere per chi facesse ricorso alle terapie di conversione, e anche multe dai 10.000 ai 50.000 euro. Il ddl di Lo Giudice è stato tuttavia insabbiato, con la scusa di non essere una priorità. Un altro grande tormentone - tutto italiano - che non tramonta mai nelle aule di Roma: “non è una priorità”. Specialmente quando si richiede di intervenire sui diritti civili. Se per il Parlamento italiano non è una priorità (pre)occuparsi nel concreto di diritti civili (e in questo caso dell’orrore delle terapie di conversione), questo sta dichiarando apertamente di non avere alcun interesse a debellare tutti quegli interventi oppressivi che minacciano l’identità e la salute psicologica di coloro che subiscono questi abusi, garantendo loro le tutele necessarie. In questo siamo i meno europeisti.

Certo sarebbe sciocco ignorare le differenze storiche e sociali tra due Paesi come l’Italia e la Francia, in cui una è politicamente influenzata dalla secolare presenza del Vaticano, e l’altra punta a un approccio quanto mai laico alla politica, fino ai suoi estremi.

Il grande paradosso è vedere come la politica italiana (quella in camicia che siede a Palazzo Chigi, Montecitorio o Madama, non quella che si impegna concretamente nel quotidiano ogni giorno, e che si nutre di una passione autentica e consapevole) ignori quanto la società civile abbia opinioni assai più progressiste sui diritti civili di chi invece la rappresenta ai vertici. La politica ignora tutto questo, nel senso che finge di non conoscere o, peggio ancora, non lo conosce affatto, perché non vuole conoscere.

Quale modo migliore questo per aumentare il disagio sociale e soprattutto la completa sfiducia verso un sistema che non funziona, che si affanna a punire e a stigmatizzare, invece che ascoltare e accogliere. É chiaro che soltanto per mezzo della conoscenza, e quindi dell’educazione, può esserci un progresso concreto, che coinvolga la collettività, e che dovrebbe essere alla base di qualunque Stato che voglia autoproclamarsi civile, quale evidentemente l’Italia non è (ancora).

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