È possibile un federalismo avalutativo?

Una profonda riflessione sull’idea di federalismo e il ruolo dei valori

, di Giacomo Brunelli

È possibile un federalismo avalutativo?

L’articolo riprende e rielabora alcuni appunti scritti per una relazione in occasione della riunione dell’Ufficio del dibattito del Movimento Federalista Europeo tenutasi a Firenze il 18 giugno 2023, dal titolo “La questione valoriale: dall’Unione Europea al federalismo come dottrina politica”.

Nella battaglia per una federazione europea, oggi, con un’Unione europea esistente e concreta da decenni e con pagine e pagine di riflessioni che negli stessi decenni, e anche prima, sono state formulate, una - forse l’unica - domanda da porsi è se sia possibile o meno un federalismo avalutativo (e dunque una militanza federalista avalutativa). Avalutativo per come Weber intendeva il termine, che orienta il proprio agire in modo razionale rispetto allo scopo (la federazione europea) piuttosto che razionale rispetto al valore (la riforma della società), così come indicata nella parte terza del Progetto di un Manifesto per un’Europa libera e unita. Riforma alla quale è possibile giungere solo una volta compresa la crisi della civiltà europea, dalla quale si può uscire solo attraverso una rivoluzione istituzionale: l’Unità Europea.

Cosa sono i valori?

Ognuno di noi ha dei bisogni, non solo naturali o fisici, ma anche (e soprattutto) sociali: sono questi bisogni sociali che ci spingono ad agire in determinati modi, nella nostra vita quotidiana, a compiere un’azione piuttosto che un’altra, a ricercare un fine determinato piuttosto di altri fini altrettanto desiderabili, ricercabili, auspicabili. Bene, sono questi bisogni, che costituiscono un sistema a sé che possiamo chiamare “sistema dei bisogni” che terminano i valori.

I valori sono ciò che “ha valore in relazione ai bisogni” [1]. I valori non sarebbero altro, dunque, che il risultato della proiezione dei bisogni sulle relazioni interpersonali e sulla cultura. Il mondo dei valori non è altro che il mondo di ciò che ha valore in relazione ai suddetti bisogni, primo motore dell’uomo. Nel momento in cui i bisogni sociali, oggettivizzati, acquistano agli occhi del soggetto agente carattere normativo, divengono - appunto - valori. Essi sono dunque “quei criteri, presentati come oggettivi, attraverso i quali i gruppi e le società giudicano la rilevanza di persone, comportamenti, fini sociali e altri oggetti socio-culturali o avvenimenti”. Vengono costantemente prodotti da ognuno di noi, al punto che la vita collettiva non sarebbe pensabile in assenza di valori, poiché mancherebbero quei punti cardine che vengono utilizzati per dare ordine e significato alla realtà e permetterne il controllo.

Se, dunque, non è possibile esimersi dal comportarsi secondo valori, è inevitabile orientarci attraverso antivalori, che vengono stabiliti in contrapposizione a quelli che consideriamo essere i valori. Così scriveva Nietzsche: “il mondo ruota intorno agli inventori di valori nuovi”.

Sui valori a proposito di federalismo europeo

L’Unione europea si regge su alcuni valori fondanti, individuati dall’articolo 2 del TUE: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze.” Se tali valori fondanti non vengono rispettati, è possibile ridurre o sospendere il diritto di voto in seno al Consiglio, come da articolo 7. Ma essi sono fondamentali anche per qualsiasi Stato terzo voglia acquisire lo status di membro poiché, appunto, dovrà dimostrare di rispettare tale articolo.

L’importanza dei valori a fondamento e sostegno dell’Unione è riscontrabile anche nella presenza di una pagina del sito ufficiale dell’Unione europea interamente dedicata ad obiettivi e valori dell’Unione. Tali obiettivi consisterebbero nel: “promuovere la pace, offrire libertà e sicurezza, creare un mercato interno, conseguire uno sviluppo sostenibile, migliorare la qualità dell’ambiente, promuovere il progresso scientifico e tecnologico, la giustizia, le protezioni sociali, rafforzare la coesione economica sociale e territoriale e la solidarietà tra paesi membri”.

Anche il federalismo come quarta ideologia, sintesi hegeliana delle precedenti – liberalismo, socialismo, democrazia – che appunto si impone di negarle per superarle e per attuarle nel modo migliore possibile, all’interno di un mondo mai perfetto e sempre perfettibile, vede i valori come elemento essenziale. Secondo Mario Albertini, infatti, sono tre gli aspetti caratterizzanti del federalismo: l’aspetto di struttura (federazione); quello storico (la crisi della civiltà moderna dovuta al tramonto dello Stato nazione); e quello valoriale: la pace.

Tra ideologia politica e dottrina politica: cosa c’entrano i valori?

A questo punto, per procedere lungo il percorso che porterà a rispondere alla domanda se possa essere o meno, il federalismo europeo, avalutativo, è bene rispondere alla domanda: il federalismo è un pensiero politico, una dottrina politica o una ideologia? La sua definizione ne determinerà a sua volta l’aspetto.

Per definire cosa sia un’ideologia, lo studioso Carlo Mongardini parte avvisando che “il potere viene esercitato con la forza oppure con il consenso. (…) È difficile che il governo si regga solo sull’uno o sull’altro”. In quanto un principio di legittimità del potere deve essere sempre presente, poiché la minoranza che rivendica il potere lo fa in nome di una maggioranza che essa rappresenterebbe e di ideali dei quali è portatrice. Tali ideali costituiscono, appunto, forme ideologiche. L’ideologia è dunque un insieme di valori, di proiezioni ideali, di dottrine che costituiscono le idee-guida dell’azione politica dei gruppi che detengono il potere o vi aspirano. L’ideologia nasce come proiezione ideale dei bisogni che gli individui di una data epoca avvertono con maggiore insistenza. Dunque, essa assolverebbe diverse funzioni:

  • Rappresenta l’idea guida, lo schema di riferimento e il principio di identificazione del gruppo che in essa si riconosce;
  • Costituisce la soddisfazione compensatoria di determinati bisogni sociali particolarmente sentiti come “pressione della realtà”;
  • È uno strumento di conoscenza e di comunicazione per gli strati medio-bassi della piramide sociale ai quali non è possibile la conoscenza della realtà effettuale dei fenomeni politici;
  • Funge da cinghia di trasmissione del consenso.

Si può intendere il termine ideologia, dunque, in due differenti modi: o, marxianamente, come una falsa coscienza, uno strumento di manipolazione delle masse, un mezzo di conservazione del potere; oppure, come sembra intenderla Albertini, come un mezzo che permette di rilevare i bisogni umani e renderli idee-guida di precisi disegni politici.

Cogliendo questa seconda definizione, risulta difficile affermare che il federalismo sia “anti-ideologico” proprio in quanto parte da quei valori e da quei bisogni (che si alimentano vicendevolmente) fondanti il federalismo per renderli idee-guida di tale disegno politico. Se, dunque, il federalismo non può che essere orientato da valori che vengono tradotti in un disegno politico, esso deve essere annoverato tra le “grandi ideologie emancipatrici dell’umanità”.

Ma non solo, ciò non esclude che possa anche, e soprattutto, essere dottrina politica. Con l’espressione “dottrina politica” si afferma, secondo quanto indicato dal professor D’Addio, una “concezione sistematica della politica finalizzata all’attività pratica; essa serve ad individuare, affrontare, risolvere i problemi politici, inserendoli in una organica considerazione delle esigenze della società” [2].

Il termine dottrina sottolinea bene il nesso che sussiste in politica tra una concezione sistematica della società e dello stato e l’attività pratica che presuppone tale concezione: “la dottrina politica abbandona l’astrattezza dell’ideologia e si concentra sul fare, ma su un fare inscindibilmente legato alla riflessione teorica: per fare, bisogna sapere cosa si fa, perché lo si fa, con quali mezzi, quali fini si vogliono conseguire”. La dottrina federalista si farebbe così risalire alla Rivoluzione americana, ed in particolare alla Convenzione di Philadelphia del 1787, al Federalist di Hamilton, Madison e John Jay, grande progetto democratico, caratterizzato da forte realismo. Si pensi alla distinzione di Jay compiuta tra interessi permanenti e temporanei: politica è individuazione degli interessi permanenti della comunità e lo studio dei mezzi più idonei a garantirli, il federalismo, appunto. Federazione è il kantiano governo della ragione, capace di realizzare gli ideali democratici in un territorio vastissimo e in una molteplicità di livelli.

L’ideologia federalista, consapevole dei bisogni e dei valori che ne stanno alla base, nell’epoca della postmodernità, del postcapitalismo, del post-ideologismo, resta viva, conservando tutta la sua forza valoriale ed ideale, ma accetta di divenire dottrina politica, consapevole di non essere “La Dottrina”, ma una tra le altre dottrine, con le quali dovrà scontrarsi, tutte pienamente convinte di essere superiori alle altre, in un mondo concreto fatto di difficili compromessi e risultati mai perfettamente raggiungibili. In sintesi, dunque, l’ideologia federalista, idea-guida capace di realizzare un determinato progetto politico, si scontra con la realtà, con la prassi, scende a compromessi e diviene dottrina: consapevole, però, che proprio quei valori che la animano costituiscono i punti irrinunciabili.

Dai valori ai giudizi di valore

Compreso che non è possibile esimersi dall’agire secondo valori - e che per quanto la razionalità prediletta possa essere “rispetto allo scopo” piuttosto che “rispetto al valore” (Weber), è impensabile una società priva di valori, poiché altrimenti non sarebbe società - si può riflettere su quelli che sono i prodotti del sistema dei valori: i giudizi di valore. Secondo Mongardini, “il giudizio di valore è un giudizio espresso che descrive in forma positiva o negativa una relazione tra un concetto reale e uno ideale”.

Ciò che è stato scritto a proposito della società non può non valere per il federalista che ne è immerso: egli non potrà non essere mosso da valori, mentre potrà esimersi dall’esprimersi pubblicamente attraverso giudizi di valore che discendono da quei valori nei quali, per l’appunto, crede e non può far a meno di credere. A questo punto, la scelta che ognuno di noi è chiamato a compiere è tra il ricacciarli dentro di sé senza permettere che essi vengano espressi e dunque optare per un atteggiamento definibile descrittivista, che si accontenta di constare la realtà così com’è, oppure un atteggiamento critico, che all’osservazione della società ne fa conseguire un tentativo di cambiamento.

Ebbene, non sembra certo la prima la strada tracciata da Ventotene. Il Manifesto non affida al militante federalista il solo compito di constatare asetticamente la presenza di falle istituzionali che comportano il malfunzionamento di determinati meccanismi istituzionali, ma sembra imporre un compito molto più arduo. Scuote ognuno di noi chiedendoci: “Credi nella libertà dell’uomo? Nel diritto alla pace? Nella necessaria prevalenza della ragione del diritto sulla forza bruta delle armi? Nella necessaria emancipazione degli ultimi e dei più deboli dal loro stato di sottomissione? Nella necessità di una complessiva rivoluzione di una società caduta assieme ai detriti della seconda guerra mondiale?

In conclusione

Prendiamo le mosse da quanto precedentemente affermato per operare due fondamentali distinzioni: compresa l’imprescindibilità dei valori, è possibile da un lato condurre la battaglia federalista alla luce di tali valori nei quali si crede, ovvero lottare per il federalismo europeo (e mondiale) consapevoli di essere orientati da questi stessi valori, che non per forza si traducono in giudizi di valore; dall’altro, incamminarsi in una battaglia valoriale condotta però secondo il federalismo: ovvero, mossi da alcuni valori che ci animano a tal punto da non permettere di esimerci dal manifestare in pubblico giudizi di valore (è bene, è male) e dal condurre azioni per orientare la società verso quel valore considerato imprescindibile, riconduciamo tale battaglia secondariamente poi al federalismo. Questa seconda strada appare, a chi scrive, di maggiore difficoltà e minore efficacia politica. Non bisogna però evitare di chiedersi (e rispondere): perché Europa?

Si tratta, in poche parole, di stabilire se allontanarsi dal percorso tracciato da Ventotene, che pone la federazione europea come solo l’obiettivo istituzionale intermedio per il raggiungimento del fine: la riforma della società; oppure invertire il rapporto tra mezzo e fine, indicando il raggiungimento della federazione come fine, ovvero ritenendo che quello che è un mezzo (la federazione) possa farsi fine, in quanto di per sé naturalmente deputato a realizzare quel fine (la riforma della società) che tale mezzo (reso fine) si prefiggeva di realizzare.

In altre parole: rispondere al quesito se il federalismo debba essere avalutativo o meno implica una risposta ad una precedente domanda: Qual è il fine? La riforma della società o la federazione? Poiché la federazione come forma di stato, ovvero la federazione per il piacere della federazione, sarebbe un fine desiderabile solo da una ristretta nicchia di giuristi, è bene precisare che, comunque, chi ad oggi si mostra favorevole a questa seconda interpretazione lo è perché considera quello che di per sua natura è un mezzo (la federazione) capace, per le sue peculiari caratteristiche, di realizzare naturalmente anche il fine: la riforma della società. Questo però sembra, ad oggi, assai improbabile e porterebbe, tra l’altro, ad allontanarsi dalla parte terza del Manifesto, a rinunciare, in pratica, alla riforma della società. Ma questo può significare allontanarsi da Ventotene nel suo insieme: rinunciare alla visione di un uomo “non mero strumento altrui, ma autonomo centro di vita” che, consapevole della crisi cui è giunta la società che lo vede membro, ma che egli contribuisce a creare (la società agisce sia sull’uomo sia con l’uomo) e proprio perché tale società (in crisi) non è un elemento estraneo all’uomo, di per sé esistente, che agisce come un deus ex machina, egli si rende conto che spetta a lui ed ai suoi simili il compito di far uscire l’umanità, o meglio, il popolo europeo, da quello “stato di minorità” [3] che solo alla civiltà europea va imputato.

Alla luce di tutte queste considerazioni (bisogni, valori, giudizi di valore, ideologia, dottrina) è possibile affermare che un federalismo privo di valori non potrà mai esistere, che essi emergeranno con insistenza in ogni occasione di confronto poiché è la società stessa, l’opinione pubblica, a domandare che emergano. Un federalismo che oltre ad ideologia si fa movimento politico organizzato, non può ricercare l’avalutatività weberiana, poiché alla politica (contrariamente alla sociologia, dalla quale si pretende una descrizione positiva della società) è richiesto un ruolo normativo, tale per cui la mancata espressione di cosiddetti giudizi di valore non è permessa.

Compreso questo, bisognerà poi chiedersi in che misura? Certo, il federalismo, contrariamente alle altre ideologie, non è in grado di prendere posizione su tutto lo scibile, non punta a circoscrivere in sé tutto l’umano. Per esempio, non ha una propria dottrina economica (in un mondo in cui l’economia si è fatta economicismo e la politica economica rischia di diventare politica tout court) così come manca di una propria morale\etica (si pensi alla morale democristiana, o all’etica socialista e liberale). Ha, in sintesi, degli evidenti limiti che non gli permettono di esprimere giudizi di valore su tutto ciò che si riferisce alla sfera politica – ovvero a quanto riguarda l’amministrazione della polis, la cosa pubblica, nel suo insieme – ma può comunque, e deve, esprimersi su ciò che gli è richiesto e che gli compete. Consapevole che sono le persone concrete a fare la storia [4] e che dunque i cambiamenti, soprattutto se istituzionali e in regime democratico, devono partire da un popolo concreto che li sostenga. Altrimenti, nessun costituzionalismo sarà possibile.

Insomma: per affermare “quale Europa” dobbiamo dire “perché l’Europa”.

Note

[1Carlo Mongardini, La conoscenza sociologica, ECIG, 2001

[2Mario d’Addio, Storia delle dottrine politiche, ECIG, 2002

[3Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo

[4Diritto e Conflitti, Gaetano Azzariti, Laterza, 2021

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