I fatti sono noti: il 7 ottobre, il Tribunale Costituzionale polacco si è espresso, su richiesta del Primo Ministro Mateusz Morawiecki, sostenendo che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) stesse interferendo con il sistema giudiziario della Polonia e quindi violando la supremazia della Costituzione polacca. In sintesi, il giudizio esprime il primato assoluto del diritto nazionale su quello europeo [1].
Nello specifico, la questione sollevata da Morawiecki si riferiva a una sentenza di marzo della CGUE che accoglieva un ricorso sulle nomine da parte della Krajowa Rada Sądownictwa (KRS, pressappoco l’equivalente polacco del Consiglio Superiore della Magistratura) alla Corte Suprema [2]. La KRS è stata oggetto di una serie di riforme, promosse negli ultimi anni da governi guidati dal partito di Morawiecki (Prawo i Sprawiedliwość PiS, “Diritto e Giustizia”), aspramente contestate dalle opposizioni e anche dalla Commissione Europea in quanto accusate di ridurre l’indipendenza del potere giudiziario nei confronti di quello esecutivo [3]. Inoltre, il 6 ottobre, proprio un giorno prima del pronunciamento del Tribunale Costituzionale polacco, la CGUE si era espressa nuovamente giudicando a rischio l’indipendenza del sistema giudiziario polacco, in riferimento a un caso di trasferimento coatto di un giudice [4].
In questo contesto, il pronunciamento del Tribunale arriva con un perfetto tempismo e sposa appieno la linea del Governo di Morawiecki e di PiS: la Costituzione polacca prevale sempre sulla legislazione dell’Unione Europea, e la CGUE non può interferire con il diritto nazionale. Non ha sorpreso l’appoggio dato da, tra gli altri, Giorgia Meloni e Viktor Orbán a Morawiecki [5].
Le opposizioni polacche paventano la possibilità che ciò inneschi un processo che possa portare la Polonia fuori dall’Unione Europea e hanno invocato delle proteste popolari contro il Governo [6], concretizzatesi domenica 10 ottobre con circa 100’000 persone in strada nella sola Varsavia [7].
Naturalmente, anche la Commissione Europea è di diversa opinione rispetto al Governo polacco e lo ha sottolineato subito con una nota stampa:
[...] La Commissione difende e ribadisce i principi fondanti dell’ordinamento giuridico dell’Unione, ossia:
- il diritto dell’UE prevale sul diritto nazionale, anche sulle disposizioni costituzionali;
- tutte le sentenze della Corte di giustizia sono vincolanti per tutte le autorità degli Stati membri, compresi gli organi giurisdizionali nazionali.[...] [8]
Una posizione netta e chiara che va a inserirsi nel già delicato quadro delle relazioni tra la Commissione e il Governo polacco, da anni accusato, così come quello ungherese, di minare le fondamenta dello stato di diritto e di violare i valori di base dell’UE - giudizio che si basa su solide fondamenta e che è condiviso anche da osservatori specializzati e indipendenti, come per esempio Freedom House [9] - e che è sfociata nell’avvio, nei confronti della Polonia, della procedura di sospensione dei diritti di adesione all’Unione Europea previsto dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea (che porterà a un nulla di fatto, dato che la procedura richiede l’unanimità di tutti gli altri Stati membri e l’Ungheria ha già annunciato che non la sosterrà), nonché nella mancata approvazione dei piani nazionali di recupero post-COVID di Ungheria e Polonia.
Ma cosa potrà fare concretamente la Commissione contro il Governo polacco? Essenzialmente ha due possibilità: la prima consisterebbe nell’aprire una procedura di infrazione, come fatto in giugno contro la Germania [10] la cui Corte Costituzionale, nel maggio 2020, giudicò illegale secondo la legge tedesca i programmi di acquisto di titoli varati dalla Banca Centrale Europea [11].
Rispetto al caso tedesco, però, quello polacco presenta una differenza sostanziale: l’opinione della Corte è ampiamente appoggiata dal Governo. Per questo motivo, in molti caldeggiano la seconda possibilità, ossia misure più drastiche volte a limitare l’erogazione di fondi europei nei confronti della Polonia, che ne è il maggior beneficiario.
Nonostante le dure reazioni contro la linea polacca da parte di alcuni Governi di Stati membri dell’UE e nonostante la nota della Commissione, la Presidente von der Leyen parrebbe orientata a una sorta di “ferma cautela” volta a evitare che la situazione degeneri, decidendo di attendere fino a una eventuale ufficializzazione del pronunciamento, che avverrebbe solo con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale polacca [12]. Secondo il professore di Diritto Europeo Piet Eeckhout, esiste la possibilità che la Polonia possa usare la questione come “merce di scambio” con la Commissione per ottenere da questa un atteggiamento più morbido in cambio di un passo indietro del Governo polacco sulla questione costituzionale [13].
Del resto, lo stesso Morawiecki si è espresso sul suo profilo Facebook ricordando come “il posto della Polonia sia e sarà nella famiglia delle nazioni Europee” ma che “la legge costituzionale è al di sopra di qualsiasi altra legge [come] confermato dalle Corti Costituzionali di molti Stati membri”, e quindi la Polonia debba “avere gli stessi diritti degli altri Paesi” e che non possa essere “trattata come un Paese di seconda classe”, sottolineando come l’UE sia anche “la nostra Unione. Vogliamo una Unione di questo genere e continueremo a crearla” [14].
Un ragionamento fallace: l’Unione Europea è anche l’Unione della Polonia, ma non solo della Polonia. Nessuno Stato membro, sia esso la Germania o la Polonia, può imporre una visione minoritaria al resto dell’Unione, altrimenti si andrebbe incontro a una dittatura della minoranza. Chi ha contribuito allo sviluppo dell’UE, anche la stessa Polonia al momento dell’adesione, ha concordato nell’accettare di cedere sovranità all’Unione e a recepirne regolamenti, direttive e decisioni [15], nonché l’autorità della CGUE. Se l’attuale Governo polacco, in piena coscienza di rappresentare i suoi cittadini e di tutelarne gli interessi, ritiene che tutto ciò non sia più desiderabile, può proporre una revisione dei Trattati in tale senso e vedere se riesce a ottenerla, oppure può lasciare l’Unione. Tertium non datur.
L’idea di una adesione all’UE à la carte, tutta diritti e niente doveri, è ciò che ha rallentato e sta rallentando lo sviluppo dell’Unione, compromettendone l’intero spirito e impedendo la prosperità dei suoi cittadini, perché una Unione debole, e ne abbiamo avuto le prove un anno fa, è lenta o assente nel prendere decisioni importanti, mentre pandemie o cataclismi naturali non aspettano.
L’Unione Europea non è un bancomat o un fondo, ma una comunità di destino di Stati e popoli uguali, come giustamente sostiene Morawiecki, e che egualmente decidono di sostenerne gli oneri e goderne dei risultati, riconoscendo l’Unione come unico modo per prosperare nel mondo globalizzato e multilaterale del XXI secolo.
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