Gli Stati Uniti di Trump erano i primi candidati per un patto di questo tipo. Tuttavia, l’idea di Biden sulle relazioni future fra Regno Unito e UE è nettamente diversa da quella che aveva Trump: Biden ha espresso le sue preoccupazioni riguardo alla Brexit fin dal 2016. Inoltre, la decisione di Boris Johnson di infrangere la legge sul protocollo sull’Irlanda del Nord dopo la Brexit ha contribuito in maniera particolare a esacerbare le relazioni con l’UE e gli stati extra UE (compresi gli Stati Uniti). “Qualsiasi accordo commerciale fra gli Stati Uniti e il Regno Unito deve essere subordinato al rispetto dell’accordo [del Venerdì Santo] ed evitare il ritorno di un periodo caratterizzato da una frontiera fisica” ha scritto Biden su Twitter lo scorso settembre.
La combinazione fra i risultati delle elezioni statunitensi e le conseguenze dell’idea di Boris Johnson di violare un accordo internazionale sull’Irlanda del Nord (con il rischio di ricreare una situazione violenta in quell’area) rende il Regno Unito un partner internazionale meno affidabile. Di conseguenza, Londra ha cambiato la sua strategia, intensificando i negoziati con l’UE.
Sebbene siano state diverse le discussioni tenutesi durante il mese di novembre, il capo negoziatore dell’UE, Michel Barnier, ha scritto su Twitter la settimana scorsa: “oggi siamo convenuti sul fatto che non sussistono le condizioni per un accordo a causa di divergenze significative su level playing field , governance e pesca.” Lo scorso sabato, quando i giornalisti gli hanno domandato davanti alla Commissione Europea se un accordo sarà raggiunto oppure no, Barnier ha risposto solo con un “vedremo”.
Si può dedurre che il futuro delle relazioni fra Regno Unito e UE dopo la scadenza del 31 dicembre sia ancora un mistero, anche per gli stessi negoziatori.
Dunque, uno scenario di no deal sta diventando sempre più concreto, per via del comportamento imprevedibile di Boris Johnson nei negoziati e dell’imminente scadere dei termini della Brexit.
Bisogna sottolineare che le ragioni di questi eventi sono due. Prima del referendum del 2016, il dibatto sulla Brexit era articolato soltanto secondo lo schema del “sì” e del “no”, con un fronte filoeuropeo da un lato e uno euroscettico dall’altro. Questo scenario di dibattito non ha permesso una discussione adeguata sull’UE, che avrebbe dovuto essere organizzata, ad esempio, sulle seguenti domande: “che cos’è l’UE?”, “quali relazioni vogliamo con l’UE?” e “come dovrebbe cambiare l’UE?”. Tali domande avrebbero aiutato nettamente i negoziati e l’elaborazione di una strategia di Brexit più strutturata.
Nonostante ciò, il concentrarsi dell’attenzione solamente sul “rimanere” o sull’“uscire” ha impedito qualsiasi discussione produttiva su come le relazioni fra il Regno Unito e l’UE si sarebbero sviluppate. Di conseguenza, in meno di un mese il tempo per i negoziati si sarà esaurito, con nodi importanti lasciati ancora irrisolti.
D’altro canto, dopo il referendum del 2016, il governo si è concentrato sugli slogan “hard Brexit” e “Get the Brexit Done” (Bisogna mettere in atto la Brexit), invece di discutere quale tipo di Brexit si sarebbe dovuta realizzare. Da allora i Conservatori hanno condotto una campagna a favore di una “hard Brexit” senza chiedere ai propri cittadini se fossero d’accordo. È importante sottolineare che il 51, 9% delle persone nel Regno Unito ha votato per “uscire” e non per il tipo di Brexit che voleva (ad esempio, una “hard” o “soft” Brexit).
Analizzando tali elementi si può dire che il motivo per cui i negoziati sono diventati una “corsa contro il tempo” è principalmente l’assenza di una strategia di uscita da parte del governo britannico. Il Primo Ministro ha mantenuto la scadenza del 31 dicembre per la Brexit ad ogni costo, a dispetto della pandemia globale. Tuttavia, sembra che egli stia ugualmente “tradendo” i suoi sostenitori con questo recente cambio di direzione, e sembra che non sia capace di garantire una Brexit sicura per i suoi cittadini e per coloro che risiedono nel Regno Unito.
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